Se devo scegliere una parola chiave per riassumere l’edizione 2011 di Buy Tourism Online, il filo che lega le due giornate passate a Firenze è senz’altro il racconto: più o meno spontaneo, ispirato, facilitato, raccolto, organizzato.
Mi auto-cito, riprendendo un post di un anno fa che avevo intitolato “Promozione territoriale: dare la parola alle persone“:
Dato per assodato che chi si occupa di promozione turistica debba raccogliere, creare e rendere disponibili contenuti (testi, informazioni, immagini, mappe, video…) utili e usabili, io sono sempre più convinta che sia fondamentale andare oltre il broadcasting e lavorare sull’aggregazione dei contenuti prodotti spontaneamente dalle persone, quando non stimolare attivamente questa produzione.
[alcuni giorni fa] Parlando agli studenti di #tagbolab di “storytelling per il marketing turistico“, riflettevo su quanto i nostri racconti delle esperienze di viaggio influenzano le scelte della nostra rete sociale, e di come è possibile facilitare – o addirittura organizzare – lo storytelling in modi che non siano comunque forzati e non cadano nell’errore capitale dei fake. In questo senso, i risultati del social media team elbano mi sembrano esemplari: un piccolo evento locale, la Festa dell’Uva di Capoliveri, che, da una situazione di presenza online scarsa e frammentaria, è passato a un’ottima copertura, con un picco eccezionale di visibilità online nel periodo della festa, e un risultato permanente di SERP.
Proprio del social media team elbano e di come l’edizione 2011 abbia proseguito felicemente e migliorato ancora i risultati del primo anno abbiamo parlato nel panel di giovedì mattina, condotto da Michele Aggiato e dedicato a blog-trip e travel blogging. Io sono stata forse l’unica, fra i relatori, a esprimere perplessità sull’attribuzione di un ruolo quasi professionale a chi scrive in un blog: ai blogger di professione ci credo poco, credo invece che la rete abbia restituito, a tutti coloro che hanno qualcosa da dire e sanno come farlo, la grande opportunità di comunicare a una rete più ampia, di influenzare e farsi influenzare su orizzonti meno limitati.
In questo scenario di moltiplicazione delle voci, consigli preziosissimi sono arrivati dal panel su storytelling e content curation, da parte di Mafe De Baggis e Filippo Pretolani: le storie che gli altri raccontano su di noi (sul nostro hotel, sulla nostra terra) bisogna cercarle, trovarle una a una, illuminarle con attenzione, e, ancor prima, non impedir loro di sbocciare. Un lavoro da editori, ma anche un po’ da giardinieri (una che sa farlo benissimo è Francesca, e non a caso il suo hotel all’Isola d’Elba è prima di tutto uno splendido giardino).
Sempre a proposito di racconto, mi sono molto divertita anche quest’anno a fare il live-twitting di ciò che accadeva sul palco e non. Per me, twittare a un evento è un modo (divertente) per condensarne il senso e restituirlo a chi non c’è; e anche – se c’è un tweet-wall sul palco – anche a chi c’è. Non lo faccio per diventare una twit-star, anche se poi l’effetto di un buon live-twitting è che arrivano nuove persone a seguirmi, magari perché si accorgono che non sto semplicemente stenografando quel che dicono sul palco.
Sicuramente BTO si conferma come uno dei pochi eventi italiani per cui vale davvero la pena di spendere un viaggio e anche pagare un biglietto di ingresso, per il livello medio dei contenuti, le persone che si possono incontrare, l’apertura internazionale, il felice mix di operatori, istituzioni ed esperti, il tutto in uno spazio – la Stazione Leopolda – che riesce a convogliare, organizzare e moltiplicare tutta questa energia.
Tuttavia quest’anno la presenza, in parallelo, delle sessioni in Main Hall e di cinque panel in altrettante sale laterali ci ha costretti tutti a scegliere e, inevitabilmente, rinunciare, con il risultato che ciascuno è tornato a casa con il rammarico di non essere riuscito a sentire qualcosa che gli interessava.
Io in particolare mi sono morsa le dita per aver perso (ma non potevo fare a meno, visto che si svolgevano in contemporanea col panel a cui partecipavo come relatore) la Creative Bomb di Paolo Iabichino e le riflessioni di Francesco Tapinassi sul viaggiatore lento ma anche hitech. Fra l’altro, la compresenza di molte sessioni ha fatto sì che raramente la Main Hall fosse piena, mentre magari in alcune sale laterali era impossibile entrare causa folla (ho seguito almeno un paio di focus seduta per terra).
Less is more, more is less – più passa il tempo, più mi convinco dell’assoluta verità di questo mantra. Il mio consiglio per il 2012 è di ridurre gli eventi “in parallelo”, senza necessariamente tornare alla main hall oceanica degli anni scorsi: ve ne saranno grati relatori e partecipanti.
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Ciao Alessandra,
Grazie ancora per la tua disponibilità a partecipare al panel dedicato ai Blogger di Viaggi!
Confermo sei stata l’unica ad esprimere perplessità sull’attribuzione di “un ruolo quasi professionale”. Ma perché perplessa? Mi sembra logico utilizzare dei termini per distinguere ruoli e profili diversi, come sono stati utilizzati ad esempio nel Social Technographics Profile per determinare diversi profili degli utilizzatori nel web.
Che ne dici?
@Michele, i profili di uso delineati da Forrester (grande analisi, peccato che i dati siano della fine del 2009, sarebbe stato bellissimo averne di aggiornati) si riferiscono ai comportamenti di tutte le persone che usano la rete, ma non implicano che un “creator” (categoria nella quale ricade chi ha un blog) sia pagato per produrre contenuti, o faccia del suo blog un mestiere.
Alla domanda “avere un blog può essere un lavoro?” la mia risposta resta “no”. Gestire un blog è un’opportunità fantastica di promuovere, conoscere, proporre, vendere, quel che si fa per lavoro, ma il blog in sé non è “il mestiere”, quello uno lo deve avere a prescindere.