Sto leggendo “What’s mine is yours – the rise of collaborative consumption“, interessante esplorazione di come sta cambiando la cultura del consumo: dallo spreco dell’usa-e-getta, al riuso intelligente, alla consapevolezza che stiamo per essere sommersi dai rifiuti e abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, come individui e come pianeta.
È quindi ora di cambiare rotta, e di usare gli strumenti e l’intelligenza della rete per ridurre la nostra impronta ecologica, spendere soldi e risorse per ciò che veramente vale, e aggiungere valore (che non significa necessariamente soldi) alle nostre vite.
A BTO Lidia Marongiu e Arturo Salerno avevano presentato – in uno dei panel più interessanti e animati delle due giornate fiorentine – la loro ricerca “Dopo il viaggio low-cost, il viaggio no-cost?“, raccontando di Couchsurfing (scambio di ospitalità sul divano di casa – 2 milioni e mezzo di utenti nel mondo, quasi 30mila in Italia), Airbnb (affitto di spazi di vita e lavoro), Helpx.net (ospitalità rurale in cambio di lavoro) e Roadsharing (condivisione di passaggi per viaggiare).
Passando dal viaggio alla vita quotidiana, si trovano in rete servizi che permettono di allungare il ciclo di vita degli oggetti, togliendoli dai cassetti e dagli scatoloni per farli riusare da altre persone – e godere al tempo stesso della possibilità di avere, a un costo decisamente più basso che quello dell’acquisto, le cose che ci servono.
Eccone alcuni, che al momento funzionano solo negli USA (qualcuno è interessato a svilupparne di simili per l’Italia?)
Ognuno di noi ha in casa decine, se non centinaia, di libri, DVD, CD e videogiochi, gran parte dei quali stanno a prendere polvere dopo essere stati usati una o pochissime volte. Ma rivenderli o scambiarli con i mezzi tradizionali (mercatini e negozi dell’usato) è spesso una scocciatura, che non vale la pena dei pochi soldi che si ottengono.
Su Swap.com si possono elencare le cose che si vogliono dar via; ogni volta che si inserisce un nuovo oggetto, la piattaforma propone tutti i possibili oggetti che si potrebbero avere in cambio. Trovato il cambio “giusto”, lo si propone all’altro utente, e Swap.com organizza lo scambio; per ogni scambio, si paga la spedizione (con tariffe convenienti, €3,18 a spedizione) più un costo di transazione versato a Swap.com (mezzo dollaro o un dollaro in base alla classe di valore dei beni scambiati).
La piattaforma calcola anche le possibili “triangolazioni”: John ha qualcosa che interessa a Ruth, che ha qualcosa che interessa a Bob, che ha qualcosa che interessa a John; calcolato il giro, se tutti e tre sono d’accordo, i beni partono e tutti sono contenti.
Altro pozzo senza fondo: i vestiti dei bambini. Come ogni genitore sa, i bambini crescono velocissimamente, ricevono decine di regali, e spesso i loro vestiti diventano piccoli dopo essere stati usati pochissime volte. Quasi tutti cerchiamo di passare i vestiti usati ad amici e parenti che hanno bambini più piccoli, e spesso riceviamo altrettanti doni dai conoscenti, ma non sempre si riesce a trovare qualcuno a cui regalare l’usato, e spesso ci ritroviamo a comprare nuovo quel che sta nei cassetti e nelle cantine di qualcun altro.
ThredUp mi è sembrato geniale: all’iscrizione, che è gratuita, si ricevono dieci scatole di cartone per le spedizioni postali; ciascuno le riempie con i vestiti non più usati (puliti e in buono stato, perché la regola d’oro di ThredUp è “regala solo ciò che saresti contento di ricevere”), ed elenca il contenuto di ogni scatola, a beneficio degli altri utenti. Poi si comincia a cercare quel che serve: ad esempio, un box di vestiti estivi per un bimbo di 6 anni; trovato quel che interessa (nella descrizione di ogni box ci sono tipi di vestiti, marche, a volte il link alla foto, e, naturalmente, rating dell’utente “inviante”), si richiede il pacco; ricevuta la richiesta, il proprietario stampa dal sito l’etichetta per l’invio, il corriere postale gli arriva direttamente a casa e consegna il box a chi l’ha richiesto; quest’ultimo paga le spese di spedizione più $5 che vanno a ThredUp.
Chi riceve scrive una valutazione del contenuto del pacco, sia per lo stato dei vestiti (che dovrebbero essere privi di macchie, scoloriture, strappi), sia per lo stile. È interesse di ciascuno mantenere una buona reputazione di “inviante”, per non essere esclusi dal servizio (il che succede dopo la seconda segnalazione di un guaio).
Gli utenti Pro ($4,99/mese o $29,99/anno) ricevono in anteprima gli avvisi dei pacchi disponibili, recensioni personalizzate, possono arricchire il profilo personale o dei propri bimbi per garantirsi un migliore “fit”, e hanno accesso a pacchi speciali di vestiti nuovi forniti a scopo promozionale dai produttori.
Utensili, elettrodomestici, attrezzatura sportiva, decorazioni: si usano poche volte, e magari dopo qualche anno si rompono ed è impossibile trovare qualcuno che li ripari, così finiscono la loro vita nei rifiuti dopo averla trascorsa in un ripostiglio.
NeighborGoods permette di mettere questo genere di cose a disposizione di chiunque ne abbia bisogno, e di avere accesso a beni dello stesso tipo senza comprarli. I beni possono essere prestati gratuitamente o in cambio di denaro; la piattaforma aiuta a trovare chi ha quel che ci serve, il più vicino possibile a casa nostra, per incontrarsi e consegnare – o scambiare – i beni.
Il rating reciproco (puntualità all’appuntamento di consegna / restituzione, stato del bene prima e dopo il prestito) costruisce la reputazione degli utenti e funge da garanzia.
La piattaforma è al momento gratuita (viene solo fornito a pagamento un sistema di validazione dell’indirizzo, che però copre praticamente il solo costo di spedizione dello “snail mail” che certifica che l’indirizzo fornito è reale), e la mia impressione è che sia essenzialmente costruita a scopo promozionale dagli sviluppatori che l’hanno implementata, che tuttavia hanno fatto un ottimo lavoro.
Rachel Botsman e Roo Rogers, gli autori di “What’s mine is yours”, identificano i quattro pilastri fondanti di questo fenomeno, tutti catalizzati dalla presenza della Internet collaborativa:
Personalmente penso che questo debba essere il segno del decenni che è appena iniziato: un cambio di direzione netto rispetto ai decenni di spreco che ci stanno alle spalle, per costruire un presente e un futuro sostenibili e più umani.
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il post è molto interessante, ma credo che ci sia qualcosa che non va nella visualizzazione.
Complimenti per l’ottimo articolo! a presto Alessandra
Grazie Alessandra, ottimo post.
Una piccola precisazione: la ricerca presentata al BTO è del Progetto WTM ed è stata presentata con Arturo Salerno:).
Un caro saluto.
Ciao Alessandra, bello il tuo articolo!
Ti segnalo la nostra community che nella nicchia di abbigliamento di qualità in Italia propone lo swap online tra persone con taglia e gusti simili e di riflesso gli swap party un po’ ovunque. La community online è partita poco prima dell’estate. Prima eravamo soprattutto offline, abbiamo all’attivo più di 10 swap party.
a presto
Grazie a tutti per i commenti e le segnalazioni; questo post deve essere nato col piede sinistro, prima ho confuso Arturo con Antonello – ora corretto -, poi la app WordPress per iPhone con cui l’ho pubblicato l’aveva scombinato tutto, incasinando i link e i tag.
Grazie Rodolfo per la segnalazione, http://www.swapclub.it è un progetto molto interessante, approfondirò la conoscenza.
ciao alessandra, grazie della risposta ma l’URL corretta è http://www.swapclub.it/
Col piede sinistro? ma non scherziamo e poi Arturo e Antonello hanno molto in comune:)
Ti consiglio vivamente il libro e la directory online di The Mesh, sugli stessi argomenti :)
Questi temi mi sono molto cari e mi piacerebbe che anche da noi si potesse inizare a gestire gli oggetti in modo più consapevole.
Cercando in rete mi sono imbattuta in questo progetto Free as a gift che a dispetto del nome, è tutto italiano.
E’ nato per condividere gli oggetti che non si usano più. Purtroppo in Italia, nonostante i molti like su fb e i fans su twitter non è decollato.
http://freeasagift.posterous.com/pages/cose-1
Vi consiglio inoltre di guardare questi video http://www.youtube.com/watch?v=18a1GQUZ1eU
che spiegano molto bene qual’è il problema della corsa al consumismo iniziata negli anni 50.
Ciao Alessandra, articolo moooooooolto interessante, e girando per la rete non se ne trovano di meglio: complimenti…!!!
quello che pero’ mi sfugge è la modalita’ di pagamento che utilizzano questi siti di swap…
prendiamo per esempio swap.com, la transazione che l’utente paga a swap.com come avviene?
Poi secondo te e secondo voi, non c’è il rischio di avere fregature?
Diego, rispetto alle fregature, il rischio è gestito e mitigato in termini di “social pressure” e di recensioni reciproche.
Riguardo alle modalità di pagamento, come puoi leggere dalla pagina di help di Swap (http://www.swap.com/faq/), il pagamento su base mensile dei costi di transazione (un fee da mezzo dollaro a un dollaro per ogni scambio) più gli eventuali costi di spedizione (se questa avviene tramite corriere gestito da Swap) viene addebitato su carta di credito o Paypal.
gran bel post! condivido