[In questi giorni io ed Enrico Marchetto abbiamo consegnato all’editore tutti i capitoli del nostro prossimo libro sul marketing in un mondo digitale; il libro dovrebbe uscire fra un paio di mesi, intanto ecco un piccolo, piccolissimo assaggio]
Via via che cresce la sproporzione fra i contenuti disponibili e il tempo virtualmente necessario per consumarli, la competizione per il tempo e l’attenzione delle persone diventa feroce, e per vincerla è necessario impegnare sempre più risorse per aumentare il valore percepito dei nostri contenuti agli occhi delle persone che vorremmo intercettare.
Chiunque abbia aperto un blog prima del 2010 sa bene quanto meno sforzo richiedesse mantenere l’interesse dei propri lettori anche con post veloci e leggeri, fatti magari solo del nostro commento a un link; oggi questi li pubblichiamo al più come post su un social network, e chi ancora ha un blog ci scrive quando ha da spendere una riflessione articolata, una rassegna approfondita, un caso di ben documentato, consapevole che è necessario qualcosa di “consistente” perché il nostro pubblico lo ritenga meritevole di attenzione.
Creare contenuti è un investimento sempre più oneroso: non solo perché contenuti migliori richiedono maggior lavoro e maggior competenza, ma anche perché va considerato il costo crescente della loro distribuzione, dato che non possiamo più contare come in passato sulla visibilità organica ma dobbiamo investire tempo e denaro per portare il nostro contenuto davanti agli occhi del pubblico, sponsorizzandone la visibilità e utilizzando canali di distribuzione che implicano comunque dei costi di gestione.
L’investimento necessario aumenta, e i risultati — visibilità, interesse e coinvolgimento del pubblico — invece tendono inevitabilmente a calare: fino a che punto continua a valerne la pena? Perché questo investimento abbia un senso è necessario oltrepassare la soglia di percezione del valore delle nostre personas di riferimento, tenendo conto che queste sono sottoposte ogni giorno a una quantità maggiore di stimoli e sollecitazioni.
Non è “a loro” che dobbiamo parlare, ma “di loro”: la newsletter che annuncia trionfale “La nostra azienda compie 20 anni” è destinata inesorabilmente all’oblio, se non a un impietoso “mark as spam”.
Per ogni “pezzo di contenuto” che produciamo e distribuiamo – e per ogni combinazione “canale di distribuzione – momento in cui il contenuto verrà erogato” – dobbiamo far sì che le persone a cui ci rivolgiamo possano dare una risposta affermativa alla domanda “vale la pena darti attenzione?”, e questo accade solo se quel contenuto genera un qualche valore significativo per loro, in quel preciso momento.
I contenuti che mettiamo online possono essere trovati e usati come risultato di una ricerca, cioè essere la risposta a un bisogno esplicito, manifestato sempre più spesso sotto forma di una domanda; e Google li proporrà nella SERP nella misura in cui ritiene siano una risposta soddisfacente rispetto all’intento di ricerca manifestato.
Ma più spesso siamo noi a distribuire questi contenuti in modalità push, inviandoli come email, sponsorizzandone la visibilità su Facebook, e facendoli quindi irrompere nella quotidianità di persone che in quel momento a tutto stavano pensando tranne che a noi: ancora di più allora dovranno essere significativi e rilevanti.
Una buona guida per valutarli può essere questa checklist delle possibili motivazioni per cui la nostra customer persona dovrebbe / potrebbe reputare interessante e utile ciò che mettiamo davanti ai suoi occhi: c’è almeno una di queste frasi che potrebbe scaturire spontanea alle loro labbra?
Quando creiamo il nostro palinsesto, articolandolo per rubriche tematiche e identificando la scansione temporale degli argomenti che affronteremo e i formati in cui declineremo i nostri topics, non dobbiamo mai dimenticare che ogni nostra “uscita” sarà valutata per rilevanza, e che la rilevanza media percepita dei nostri contenuti influenzerà pesantemente la visibilità stessa dei contenuti successivi: così, se di 10 newsletter che scriviamo i nostri iscritti ritengono che valga la pena riceverne 7 o 8, continueranno a leggerci, magari non tutte le volte da cima a fondo e dedicando la dovuta attenzione a ogni parola e immagine, ma comunque concedendoci il beneficio dell’apertura, e ci perdoneranno le 2 o 3 volte in cui scriviamo loro email poco interessanti; ma se il rapporto numerico si inverte, i nostri messaggi finiranno ben presto nel dimenticatoio delle mail non aperte, per scivolare a poco a poco nella cartella Spam.
Non esistono ricette replicabili e buone per tutti: ogni target, ogni contesto, ogni ambiente relazionale è talmente unico e originale che viene veramente difficile trarre delle considerazioni che puntino a essere se non universali, almeno condivise da tutti.
È possibile però definire un metodo, un approccio, che sia non autoreferenziale e centrato in modo miope sull’azienda, ma abbia come fulcro la conoscenza del cliente e la definizione chiara del valore che i prodotti e servizi dell’azienda sono in grado di fornire a “quel” cliente.
Un buon punto di partenza è la profilazione delle personas e la conseguente mappatura del cosiddetto “value proposition canvas” (cfr il testo di Osterwalder et al.), per identificare, per ciascun archetipo di cliente che abbiamo individuato, come la proposta di valore dell’azienda si allinea coi suoi “customer jobs”, le cose che il (potenziale) cliente deve fare per raggiungere i propri obiettivi e superare le proprie difficoltà.
È fondamentale verificare questo allineamento alla luce del tasso di competitività, secondo il VRIO model (Valuable, Rare, Inimitable, Organized); questa relazione Valore / Persone sarà il nucleo centrale intorno a cui mappare gli altri elementi della strategia:
La valutazione delle attività e delle risorse ci porta a una stima dei costi, che dovranno essere commisurati ai risultati attesi, da valutare in base agli opportuni KPI.
È possibile che, quando mettiamo in fila tutte le attività da svolgere e le risorse necessarie per portarle a termine, ci rendiamo conto di non avere (ancora) le risorse necessarie per affrontare tutto; in questo caso, dovremo riconsiderare attentamente se sia indispensabile, ad esempio, presidiare tutti gli ambienti individuati e valutare se l’eliminazione di alcune delle attività previste possa precludere il raggiungimento di una quota troppo alta degli obiettivi che abbiamo fissato.