Il mio amico Sergio Cagol, al ritorno da un viaggio in Costarica durante il quale ha sperimentato 20 giorni di disconnessione volontaria, ha concluso che “il digital detox è una gran minchiata”.
Io ho sempre viaggiato tanto, e spesso l’ho fatto da sola, dimensione che amo moltissimo perché mi permette di immergermi completamente in una realtà diversa – meglio ancora se in un’altra lingua. Ricordo l’Australia, giusto vent’anni fa, quando “viaggiare da sola” era davvero “da sola”: quella nella foto sotto sono io, in cima a Uluru – Ayers Rock; di fianco a me uno dei quaranta backpackers – nessuno dei quali italiano – con cui attraversai il deserto a bordo di un pullman che sembrava quello di Priscilla la regina del deserto.
Da quel viaggio tornai con una decina di rullini da 36 di diapositive, che, dopo selezione draconiana, si ridussero a un paio di caricatori – le avranno viste una decina di amici, e ogni tanto mi dico che dovrei recuperare le migliori e riversarle in digitale. Darei non so cosa per averne scattate di più, per aver scritto di più, per poterlo rileggere ora.
Nel 2009 invece partii per le Ande al seguito di un’improbabile (per me) comitiva, un gruppo di fedeli guidati dall’arcivescovo di Ravenna in una visita pastorale a un sacerdote in missione (un viaggio che fece dubitare alcuni del fatto che io fossi rimasta atea e materialista). Ero al seguito del mio amico fotografo Giampiero Corelli (la foto sotto è la sua), per aiutarlo a legare le sue immagini in un racconto che pubblicavo a puntate nei rari momenti in cui trovavamo una connessione. Il sito originale alla fine non è più online, ma i contenuti li ho ripubblicati perché mi dispiaceva perdere il racconto di quel viaggio in Perù, intanto scattavo un po’ di foto anch’io – ancora con la reflex, ancora destinate a Flickr.
Durante il viaggio, raccontavo i momenti salienti twittando via SMS, alla cieca, senza feedback – da Ravenna ci seguivano in tanti, al ritorno mi bullavo dicendo che “avevo evangelizzato l’arcidiocesi ai social network”. Quando, prima di prendere il volo del rientro, in hotel a Huanuco trovammo il wifi, feci una call via Skype con marito e figlio (che emozione!) e subito dopo mi tuffai dentro Friendfeed, a leggere commossa i commenti che i miei amici avevano scritto sotto i miei tweet.
Oggi posso viaggiare da sola e al tempo stesso, quando ne ho voglia, scambiare due parole con qualcuno, raccontare quel che vedo e leggere ciò che fanno le persone a cui voglio bene. È tanto bello che quasi non ci credo, e sono felice di aver vissuto il “prima” per misurare l’immensa fortuna che mi è data in sorte adesso.
Questa conversazione a distanza – non continua, ma che mi accompagna come un’opzione di sicurezza – non mi impedisce di vivere immersa nel “qui ed ora” del mio viaggio: io me lo raccontavo nella testa anche prima, solo dovevo aspettare – e quindi filtrare, ricostruire, immaginare di più – prima di narrarlo ai miei amici.
E posso ancora stare da sola senza guardare mai lo smartphone, o, quando viaggio insieme a qualcuno, godere della sua compagnia senza cercarne altra: ma è una scelta, non un limite imposto.
Più opzioni, più libertà, più conversazioni e più incontri: se l’abbondanza può essere un problema, sono felice di averlo. E non vedo l’ora di ripartire.
Non è più possibile commentare questo post
condivido pienamente che il digital detox è una gran minchiata.
la connessione e le opportunità di lavoro che ci permette sono fondamentali.
poi,se vuoi, un momento di relax totale lo trovi sempre.
Qualche mese fa, su un blog che non aggiorno più da tempo, scrissi un post su questo tema esprimendo un parere diametralmente opposto a quello di Alessandra, lo trovate qui: http://www.emanuelearata.it/digital-divide-detox/
Spero possa apportare elementi in grado di arricchire la discussione: credo che sentiremo parlare molto di digital detox nel prossimo futuro!
Non sono del tutto convinta che sia una minchiata. Ho fatto buona parte dei viaggi con le mie bimbe, perché sono diventata mamma prestissimo, e il tweet ogni tanto (FB non mi piace e mi annoio anche a stare troppo su whataspp. Twitter va bene per me: lanci un segnale, scambi due parole, poi la chiudi lì), rappresenta un attimo di estraniamento da ore di conversazioni sui gattini, Katy Perry e i cartoni animati. Non sento il bisogno di staccarmi da quell’attimo su twitter.
E però mi rendo conto che il modo in cui si naviga (i collegamenti, le tab, google, e con lui l’universo, a portata di ricerca) diminuisce la mia capacità di concentrarmi su una cosa sola. E così, sento il bisogno di obbligarmi a stare offline per esempio quando leggo. Oppure a volte vedo persone fare live twitting della propria vita e penso che sia bello anche non mediarla, la vita. Essere proprio lì, insomma. Perché la fotografia e le parole trasmettono tanto, ma non proprio tutto. E forse quello che non sei in grado di trasmettere vale la pena condividerlo con chi è lì con te, se c’è. E vale la pena lasciare che esista qualcosa di tutto tuo.
Anche le opinioni, troppe, mi stancano. Preferisco sempre le due chiacchiere, e un sorriso che è in grado di fermare la fossilizzazione su un’idea.
Detto questo, se il digitale non rappresenta un’intossicazione, allora non hai bisogno del detox. Nel mio caso, quando tutto quello che vivevo era tutto mio, le persone mi capivano meno. E sono felice di condividere un po’ di me.
Io ho quasi sempre tenuto il cellulare spento durante i miei viaggi, questo da prima ancora di avere uno smartphone, per cui non ho mai sentito la dipendenza da connessione, ma questa assoluta necessità di condivisione immediata secondo me denota una forte dipendenza dalla connessione…e non ne capisco il senso…
io sinceramente sono già appagato dal condividere le esperienze di viaggio con i miei compagni, certo è bello condividere anche con i tuoi amici più cari, ma avrò certamente il piacere più avanti di farlo, magari godendo della loro presenza di persona invece che su un social network…
io penso che tutta questa urgenza di condivisione si dettata o da insicurezza (e quindi necessità di approvazione sempre e comunque) o dall’incapacità di imparare a godersi anche i momenti in cui non c’è nulla da fare e magari godersi le persone e il panorama attorno a noi magari sorseggiando una birra o un the…
aggiungo ancora una cosa…il fatto che non si possa (nel mio caso non si voglia) comunicare subito le esperienze di viaggio per me sono un valore aggiunto e non un disagio…perché avrò motivo di incontrare i miei amici e raccontargli le mie avventure una volta tornato, perché mi abbracceranno con più vigore che gli sono mancato, perché nel frattempo avrò interiorizzato quello che mi è successo e avrò ancora di più da raccontare…e magari non avrò annoiato millemila “amici” di fb a cui non gliene frega niente dei miei post di viaggio…
poi magari una volta rientrato posso sempre postare le più belle foto su fb e mettere due racconti…l’uno non esclude l’altro (anche se con tempistiche diverse)
Commento quasi OT. Viaggio in Australia 12 anni fa, ancora mi opponevo al digitale. Riguardo le vecchie foto con una certa malinconia, di ogni luogo avevo uno/due scatti, che essendo unici diventavano significativi il doppio. Ma anche io penso “avrei voluto scattare più foto”. Io appena potevo scrivevo lunghe email di viaggio ai miei amici. Dopo le prime due penso che in molti si siano stufati di leggere. Tranne uno, che mi disse “scrivi bene, ho conservato tutte le tue email, se mai ti venisse voglia di organizzarle in un vero diario di viaggio”. Ma fu l’eccezione (e non scrissi mai niente).
:)
Tema molto sentito e dibattuto.
Ne ho parlato anche io, da un altro punto di vista, ma “siamo sempre lì…”
http://www.kevitafarelamamma.it/2014/09/ansia-da-notifica-e-ragazzi-del-muretto.html
O che si vada in vacanza o che si partecipi a eventi o che semplicemente si viva un’emozione…è più forte di noi: sentiamo il bisogno di gridarlo al mondo.
Prima…si aspettava e si “raccontava a voce”, stando lunghe ore al telefono (mio padre e la bolletta….lasciamo perdere!!!) o ci si guardava negli occhi…
Cosa è cambiato?
Per me è un’opportunità che abbiamo oggi in più…Non è bello stare sempre e solo con lo sguardo verso il basso (lo smartphone) e se si fa con le giuste misure, perché dovrebbe essere negativo?
Per quanto mi riguarda, credo che oggi la mia vita sia più ricca di prima, scopro e conosco molte più cose rispetto al passato…e tutto questo grazie anche al nuovo modo di vivere il web, i social, ecc
Vivy
trovo inquietante che si debba far ricorso a un social network per distrarsi, utilità per il lavoro non ne ho mai riscontrata, esigenza di condividere con degli estranei la propria vita nemmeno
bah
Marilisa, perché trovi inquietante che io faccia conversazione coi miei amici? chi ha parlato di distrarsi? e perché condividi con degli estranei le tue inquietudini e la tua incapacità di trarre utilità dalle relazioni online, commentando questo blog?
Non lo chiedo per polemica, ma perché proprio non comprendo il tuo ragionamento.