Io sono una che arriva da fuori.
Guardo Ravenna con gli occhi di quella nata a Forlì, ritorno ogni tanto a Forlì e mi stupiscono i suoi cambiamenti come fossi una zia che vede ogni tanto il nipote prediletto; viaggio molto per lavoro e quasi sempre mi innamoro delle energie che intuisco in luoghi diversi dai miei, nelle persone e nei loro racconti.
Non ho troppo tempo per immergermi nei pettegolezzi locali; nemmeno di Ravenna conosco tutti i retroscena, e dire che di antenne in città ne ho tante. Ma più passa il tempo, meno voglia ho di fermarmi a macerare nelle polemiche infinite, nei “tu non sai cosa c’è dietro”.
Ogni cosa, vista da vicino, è piena di difetti. Anche le persone, se le conosci a fondo, sono orribili, io per prima: conosco tutti i miei errori e le mie mancanze, so cose di cui mi pento o mi vergogno, a volte penso cose bruttissime ma quasi mai le dico o le metto in pratica.
È ipocrisia? No, è rispetto: rispetto per il tempo breve che abbiamo a disposizione, che non ha senso sprecare nel lamento o nella cattiveria gratuita.
E invece scelgo di guardare da una certa distanza, di cambiare prospettiva e allontanarmi un po’, di fare attenzione più ai segnali di luce che al rumore. Di gustare il buono, senza nascondermi che c’è anche il resto, ma lasciando il peggio nel piatto. Di approfittare delle possibilità, respirare forte e attraversare le contraddizioni, che è spesso l’unico modo possibile per andare avanti.
Anche con le persone ho smesso di cercare la perfezione. Conosco persone splendide per la loro sensibilità, affascinanti per la cultura, divertenti, acute, generose, capaci di farmi ballare, commuovere, capire e guarire; di ciascuno di loro posso trovare difetti imperdonabili, vigliaccherie, piccolezze, inciampi, ma non me ne importa più troppo perché con l’età ho imparato a scegliere, a guardare oltre, a fare tesoro comunque della fortuna che la vita mi mette davanti.
Per anni ho pensato che il male più grande fosse la superficialità; ultimamente ho capito che anche l’approfondimento a oltranza non basta, a un certo punto devi tornare in superficie: sai cosa c’è sotto ma riemergi, respiri e agisci.
Nel suo ultimo libro “Con parole precise” Gianrico Carofiglio spiega il processo di ricerca del giusto modo di scrivere prendendo in prestito le parole di un maestro di arti marziali:
“Quando cominciai lo studio dell’arte marziale, per me un pugno era solo un pugno. Progredendo nella pratica, diventando esperto, padroneggiando la tecnica mi resi conto che le cose erano meno ovvie: un pugno non era solo un pugno. Era qualcosa di molto più complesso. Progredendo ancora, continuando a praticare per anni (diventando un maestro, diremmo noi) compresi una verità più profonda e semplice: un pugno è solo un pugno.”
Questo ti auguro per l’anno nuovo e tutti quelli a venire: uno sguardo leggero, di goderti il cammino, di avere una meta per cui valga la pena camminare.
[Nella foto una delle meravigliose installazioni di Alessandro Turoni – la mostra “Naufragi evolutivi” è visitabile a Forlì, presso Artealmonte, fino al 24 gennaio]