[Sara La Battaglia si è appena laureata in “Comunicazione e pubblicità per le organizzazioni presso l’Università di Urbino”, con una tesi dal titolo “L’evoluzione dell’email marketing nella trasformazione della sua cultura” (relatore Giovanni Boccia Artieri). Per la sua tesi mi ha intervistata, insieme a Gianluca Diegoli, Mafe de Baggis e Luca Conti; con il suo permesso, ripubblico l’intervista qui]
I dati ci mostrano come l’email marketing sia sempre più utilizzato in ottica one-to-one per instaurare rapporti intimi con le proprie personae. Secondo lei, c’è stato un momento innescante che ha fatto da spartiacque tra l’approccio one-to-many e quello one-to-one nell’utilizzo del mezzo?
Non penso ci sia stato un momento o un episodio specifico che ha determinato questo cambiamento di prospettiva, quanto piuttosto che sia diventato sempre più evidente come ciascun canale vada utilizzato per quelle che sono le sue peculiarità.
Molto semplicemente, l’email usato come un qualunque mezzo broadcast funziona sempre meno, anzi infastidisce sempre di più le persone, che ogni giorno hanno poco tempo per smistare e filtrare messaggi sempre più numerosi e, naturalmente, preferiscono leggere qualcosa che è stato personalizzato e che viene indirizzato a loro perché c’è un’alta probabilità che sia per loro rilevante, piuttosto che dei volantini pubblicitari.
Alla luce dell’approccio one-to-one, qual è il rapporto che intercorre oggi tra la comunicazione fatta dai brand sulle proprie pagine social e l’utilizzo di comunicazioni fatte tramite email marketing?
Anche quando c’è una sovrapposizione fra chi segue il brand su un canale social e chi è iscritto alla mailing list, è il contesto che determina (o perlomeno dovrebbe determinare) la declinazione dei contenuti proposti.
Quando incontriamo un post di un brand sui social, siamo in un contesto “aperto”, in cui le nostre eventuali reazioni e commenti diventano pubbliche e nel quale i post sono o possono essere oggetto di discussione collettiva. È vero che nella distribuzione, in cui ha sempre più importanza la componente a pagamento, il brand ha la possibilità di selezionare il pubblico a cui presentare certi contenuti, ma è comunque vero che lì sta parlando “a molti”, o, nella migliore delle ipotesi, “con molti”.
Inoltre le piattaforme social, per la loro natura di spazi pubblici, sono lo spazio forse più importante per lavorare sull’allargamento della propria sfera di notorietà e influenza, perché ci mettono a disposizione meccanismi per trovare persone simili a chi già ci conosce e ci apprezza.
L’email marketing è molto meno adatto come strumento di primo contatto (le cold call non piacciono a nessuno, tantomeno nella Inbox dove sono facilmente equiparabili allo spam), ma le sue possibilità di segmentazione dei destinatari, personalizzazione dei messaggi e attivazione di automatismi lo rendono straordinario nella fase di nurturing di un nuovo contatto e per la client retention.
Io quando lavoro al piano editoriale di un cliente cerco sempre di fare in modo che fra i vari canali ci sia ovviamente un parallelismo di temi trattati e una riconoscibilità nello stile e nel tono di voce, ma che gli iscritti alla mailing list mantengano comunque l’impressione di essere i destinatari di un contenuto che, in qualche modo, si può trovare solo lì, o perché viene distribuito in anteprima, o perché viene personalizzato, o perché ci sono dei vantaggi o delle esclusive per le quali è valsa la pena di concedere a qualcuno il permesso di bussarci alla porta.
Una mailing list può essere paragonata a una nicchia specifica di appassionati per cui fare content curation, portando avanti uno storytelling sul brand?
Eh questo è quello che dovrebbe succedere se abbiamo un progetto, siamo bravi a comunicarlo per attrarre le persone giuste, e lo facciamo crescere prendendocene cura come di un giardino fiorito! Purtroppo buona parte delle mailing list che vedo in giro sono elenchi di clienti a cui le aziende spammano offerte fintamente esclusive :-D
Le newsletter possono diventare abitudini conversazionali per i pubblici, cioè capaci di innescare conversazioni pubbliche online analizzabili, legate alla periodicità dell’invio?
In certi casi sì, penso ad esempio ai due anni e mezzo durante i quali Francesco Costa ha scritto ogni settimana la sua newsletter sulla politica USA: ogni sabato, dopo averla ricevuta, molti di noi la commentavano e la citavano su Facebook e Twitter, o si univano alla conversazione sotto a un post dell’autore. Certamente perché questo succeda ci vogliono ottimi contenuti, o meglio un “oggetto sociale” in grado di collegare fra loro persone che, anche senza conoscersi, si riconoscono in un interesse, una passione, l’ammirazione per qualcuno o qualcosa.
Il collettivo Senza Rossetto, progetto indipendente di cultura femminista, ha giustificato la creazione di una newsletter personale così: “Fra i tanti che avremmo potuto usare, abbiamo scelto il mezzo della newsletter in primo luogo perché è uno spazio che si presta all’approfondimento e in secondo luogo perché le newsletter stanno tornando di moda e in buona parte è merito delle donne: molte delle newsletter di maggiore successo del momento, sui temi più disparati, sono scritte da donne”. Cosa ne pensa di queste affermazioni?
Sì, ci sono tanti progetti di newsletter scritte da donne, individualmente o in gruppo. E per fortuna, almeno nel digitale i soffitti di cristallo valgono di meno, e più donne prendono la parola più ci abitueremo tutti a conversazioni ad alto tasso di diversità e mescolanza.
È iscritta a servizi di newsletter “culturali”, dove per culturali intendiamo newsletter con fini puramente divulgativi o progetti personali che reputa interessanti?
Sì, tantissimi! In parte per i progetti in sé (quello che insegnano o raccontano), in parte per curiosità professionale :-)
Un progetto personale di carattere letterario che mi è piaciuto molto è “Boy meets girl” di Silvia Azzolina, una serie di racconti distribuiti appunto via email, ma solo a chi li vuole davvero leggere.
Una newsletter “di lavoro” molto ricca è quella di Carola Frediani sulla cibersecurity, a volte fin troppo densa di link per riuscire a leggerla con l’attenzione che meriterebbe!
Annamaria Anelli, business writer, nella sua newsletter mensile intervista donne dalle storie interessanti e non comuni: può trattarsi di medici, magistrati, ma anche venditrici ambulanti e autiste di autobus, davvero un viaggio fuori dalla nostra bolla cognitiva abituale.