Sabato mattina dovevo tenere un seminario su comunicazione politica, rete e social network; la notte prima, come spesso mi succede, mi sono venute in mente un paio di cose da modificare nella presentazione (link da inserire, un testo da correggere), così appena alzata (saran state le 7 di mattina) ho acceso il Mac e, come faccio sempre durante la colazione, ho aperto Twitter per leggere le ultime novità.
Così ho appreso del naufragio della Costa Concordia e, contemporaneamente, dell’assenza dei mezzi di informazione italiani, che, salvo Il Tirreno, si erano accorti dell’evento solo dopo ore, mentre BBC e CNN già nella notte trasmettevano in diretta le notizie e Twitter, con l’hashtag #giglio, si confermava come il vero “canale news” da seguire. [update: Enrico Porro nel suo blog Pazzi per Repubblica fa un dettagliato racconto di quanto è successo sul versante informazione]
Visto che la mia presentazione si sarebbe aperta proprio con alcune considerazioni sulla dieta informativa degli italiani, sempre più variata e ricca di web, e sui mutamenti di aspettative e pretese delle persone, ho aggiunto alle slides uno dei tanti twit che commentavano il silenzio delle fonti ufficiali:
I professionisti dormivano, i dilettanti twittavano. Via l’ordine dei giornalisti #liberalizzazioni #giglio #costaconcordia
— Luca (@kaspo) Gennaio 14, 2012
commentandolo con “la gente pretende di essere informata in tempo reale”. Più tardi, durante la lezione, la discussione ha toccato più volte il tema dell’informazione, e a un certo punto – a una mia osservazione sulla qualità del copiaincolla redazionale dei comunicati stampa – Nevio Galeati, il giornalista che avrebbe dovuto parlare dopo di me della gestione dei rapporti con la stampa, ha sbottato che il troppo era troppo; e nel suo intervento, dopo il mio, ha fatto una lunga lamentazione sulla decadenza dei tempi, colpevole la rete e questi giovani che useranno bene il computer ma non sanno più scrivere cose più lunghe di 140 caratteri, e mettono in rete ogni genere di contenuto senza alcuna verifica o qualità. Al contrario, a suo dire, i giornalisti veri fanno la verifica delle fonti, gli approfondimenti, e se a volte gli scappa qualche refuso è colpa del fatto che ormai vengono pagati pochi euro a pezzo e che gli editori preferiscono riempire le pagine di foto, che costano meno delle parole (!)
Io questo discorso l’avrò letto e sentito mille volte, insieme agli altri luoghi comuni sulla rete come unica fonte di bufale e superstizioni (come se tutti i libri stampati su carta fossero distillati di scienza). Viaggiando ormai verso il mio 47mo compleanno, mi fa abbastanza ridere essere sbrigativamente liquidata come “ggiovane”, e ancor più che mi si cataloghi come una che non dà importanza alla qualità della scrittura, che al contrario è una delle cose a cui tengo di più. Infatti leggo molto più volentieri blog scritti benissimo da gente che lo fa gratis, e sempre meno articoli tirati via da praticanti pagati due soldi.
Il fatto è che, per mantenere il primato del giornalismo professionale, l’unica cosa utile sarebbe far vedere la differenza, una differenza in meglio s’intende: peccato che questo non succeda quasi mai.
A dimostrazione della differenza, ieri qualcuno ha diffuso in rete un video, “girato dalla telecamera del ristorante della Costa Concordia nel momento del naufragio”: peccato si trattasse di un video ripreso in un’altra occasione, su un’altra nave, la Pacific Sea Sun:
Della diffusione del video racconta fra gli altri Massimo Mantellini, mentre Giovanni Boccia Artieri analizza come la notizia si è diffusa su Facebook mentre è stata rapidamente smentita su Twitter.
Fatto sta che già ieri pomeriggio era noto a chiunque cercasse #giglio su Twitter che il video era un fake; La Stampa l’ha pubblicato come vero ma, grazie alle segnalazioni arrivate via Twitter ad Anna Masera, la pagina è stata velocemente rimossa.
@Carpediem79 @il_gaet l’abbiamo tolto, riguardava un’altra nave: lo trovi su YouTube, mostra la dinamica interna di un rovesciamento…
— Anna Masera (@annamasera) Gennaio 14, 2012
Ma oggi, incredibilmente, tutti i telegiornali RAI dell’ora di pranzo hanno mostrato il video passandolo come la ripresa del momento dell’urto della Concordia sullo scoglio! Io l’ho visto sul TG3 delle 14:20 (qui trovate tutto il tg, il fake è intorno al minuto 6:40).
E questo sarebbe il giornalismo professionista? Il fact-checking? L’approfondimento della notizia, di cui si parla nello spot che invita a pagare il canone RAI?
Io il Canone RAI l’ho pagato proprio stamattina: e penso di poter pretendere che, quando i giornalisti RAI (e non solo loro) rincorrono affannati il flusso di notizie che gira per la rete, per far vedere che non è vero che la TV resta indietro rispetto a Internet, imparassero a farlo come si deve, almeno al livello di quei dilettanti che ieri hanno twittato “questo video è un fake” a tutti i loro conoscenti.
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Complimenti!
un articolo che fa molto riflettere. Ci sono arrivato via twitter proprio mentre stavo scoprendo per la prima volta come fosse molto più utile rispetto ai siti dei quotidiani online per avere notizie in tempo reale sulla tragedia del #giglio
Grazie, hai confermato in modo professionale quella che era una sensazione che io “da neofita di twitter” stavo provando in quel momento
GRANDE articolo! Non trovo niente da aggiungere…
Nemmeno due giorni fa in una discussione in cui promuovevo l’uso di twitter per saperne di più sul mondo mi son sentito rispondere “Per tenermi informato mi basta il TG.”
Hai un follower in più.
Ciao Alessandra, anch’io ho scritto un pezzo sulla cattiva informazione del naufragio da parte dei media. è qui:
http://pazzoperrepubblica.blogspot.com/2012/01/il-naufragio-del-giornalismo.html
ti ricordo che oltre al tirreno anche il sito di repubblica ha dato subito la notizia e ha tenuto monitorata la situazione per tutta la notte. ciao.
Grazie Enrico, ora aggiungo al post il link alla tua dettagliata cronaca sulla notte fra il 13 e il 14.
Interessanti riflessioni, Alessandra. Mi hanno riportato al World Travel Market, che si è svolto a Londra lo scorso Novembre, dove uno dei ‘leitmotiv’ era proprio giornalisti vs. bloggers, media tradizionali vs social media. In quell’occasione, mi ha colpito l’aggressività e la derisione dei giornalisti, che mi sembra di ritrovare nella reazione di Nevio Galeati.
Personalmente, concordo con te. Online o offline, rete o carta, sono solo strumenti. Quello che conta veramente è la qualità e accuratezza dell’informazione, e buone capacità espressive.
Speriamo di poter assistere presto a un dibattito più maturo.
Grazie a te.
Grazie.
Grazie per aver confermato quello che ormai penso della Rai e dei suoi gironalisti e spero non ti dispaiccia se condivido il tuo articolo ^_^
A presto,
Lory.
Stavo per scrivere un post sul mio Tumblr proprio con queste considerazioni, ma mi sono imbattuta nel tuo e quindi lo sposo in pieno! Di tutta questa tragedia, l’aspetto più sconcertante dal mio punto di vista sono le castronerie che ho sentito dire e letto scritte da tanti colleghi giornalisti. L’approssimazione con cui vengono date le notizie è imbarazzante. Informazioni date e smentite senza nemmeno un “scusate, ci siamo sbagliati”, testimonianze raccolte e buttate sulle prime pagine senza un minimo di verifica o di approfondimento. Una sostanziale incompetenza diffusa. Quest’anno, oltre al canone Rai, ho pagato anche l’iscrizione all’ODG. perché proprio non lo so.
Veronica
brava. ben scritto e documentato. grazie. a parte la flw in più, ce ne fossero come te!
Bravissima. Pubblicista dal 1982 ho visto e vissuto dal vivo la trasformazione di molti giornalisti che, non appena diventati professionisti (con esami burletta) e con la certezza del diritto e dello stipendio, sono diventati simili a dipendenti pubblici. Altro che ricerca e controllo della notizia!
La maggior parte sono una corporazione chiusa che non ammette di essere messa in discussione, che non ammette errori, che non capisce e subisce il cambiamento epocale di internet.
Da tempo concordo con Karl Kraus: “il giornalista è uno che non ha niente da dire e allora scrive e ha qualcosa da dire perchè scrive”.
Brava Ale!
quello che e’ avvenuto alla Concordia penso sara’ presto chiamato con il suo vero nome: Incidente.
Per ora pero’ continuano a tenere banco Tragedia, o senza eccessi Disastro.
Certo che parlare solo di incidente, attira poco l’attenzione… meglio dire per giorni e giorni ” chissa’ perche’ quel treno passava di li’ ” e gridare allo scandalo, tanto in pochi si accorgeranno subito che quel treno passava di li perche’ c’erano i binari….
Bravissima. Sono perfettamente d’accordo. Se poi giri in tv vedi solo programmi che parlano dell’argomento enfatizzando anche il minimo, trascurabile e insignificante dettaglio, solo per fare audience e senza la benché minima intenzione di fare notizia . Se ci fate caso in TV passano immagini subacquee perfettamente girate (come se il fondale e la nave fossero un set) ed ho l’impressione che i sommozzatori tutto stanno facendo anziché cercare superstiti… Forza web, forza bloggers, forza social network.
Scusate ma alla glorificazione del “twitter eroe” contro il giornalismo brutto e cattivo non ci sto :)
Non facciamo di tutta un’erba un fascio. Ci sono giornali fatti bene e altri fatti male. Ci sono giornalisti ipergarantiti che fanno le vacche, e precari malpagati che si fanno un mazzo così.
Con la questione della Concordia fa arrabbiare il “buco” della Rai, che è servizio pubblico e deve dare notizie h24 invece di martoriare i cervelli di vecchi e giovani con telespazzatura. Per gli altri giornali, beh, cavoli loro, il mercato li punirà. Ma non ci imbastirei un discorso sulla superiorità del giornalismo via twitter, o sul “vecchiume” del giornalismo moderno. C’è modo e modo di farlo. Twitter usato da “dilettanti dell’informazione” (non in senso spregiativo, ma proprio nel senso che non lo fanno per mestiere) al massimo può essere un buon serbatoio collettivo di fatti e immaginario. Se va male, e spesso accade, diventa un bar dello sport.
Il giornalismo, fatto bene e da persone che lo fanno per lavoro, sarà sempre superiore ai serbatoi collettivi popolati da gente bravissima e sveglissima ma che non fa informazione per lavoro. E che, fra un post con l’ultima notizia “bucata” anche dalla Rai e un ottimo link per la conoscenza collettiva, fa anche conoscere al mondo il colore dei propri calzini. Oppure straparla di cose che non conosce.
Dimenticavo. Il giornalismo fatto bene è cosa buona. Twitter usato bene è cosa utile. Giornalismo fatto male applicato a un uso sciatto di Twitter fornisce questi paradossali risultati, eccellentemente raffigurati da Luca Sofri qui
saluti
scusate, il link volevo inserirlo sopra la parola “qui” ma per sbaglio l’ho inserito sopra alla parola “saluti”
pardon :)