Nei giorni scorsi Ivana Pais, ricercatrice in sociologia economica dell’Università Cattolica e autrice sul Corriere.it del blog Generazione Pro Pro, mi ha contattata proponendomi di partecipare a una sua indagine sull’evoluzione dell’identità online, personale e professionale.
L’intervista mi ha dato l’occasione per mettere in ordine alcune riflessioni sul rapporto fra identità, autorappresentazione, relazioni personali e lavorative, temi che spesso affronto anche durante i miei corsi sullo stare in rete.
Con l’autorizzazione dell’autrice riporto il testo integrale dell’intervista, curiosa di leggere anche il resto del lavoro quando Ivana ne scriverà su Generazione Pro Pro.
D: Quanti e quali “volti” ha su internet?
Uno solo, il mio, declinato su vari ambienti e social network: i principali sono il mio blog professionale (www.alessandrafarabegoli.it), i social network di conversazione, ascolto e condivisione (soprattutto Twitter e Facebook), LinkedIn per la gestione del cv e delle reti professionali, Instagram e Flickr dove pubblico le mie foto.
D: Quanto sono indipendenti/interdipendenti tra loro i diversi profili?
Spesso pubblico contemporaneamente su più di un profilo – soprattutto le riflessioni estemporanee, che siano o meno accompagnate da un link o da un’immagine. Cerco di mantenere una coerenza di immagine (ad esempio, se cambio la foto che uso come avatar lo faccio contemporaneamente su tutti i social network e sul blog), di toni e di stile: ciascun ambiente ha le sue regole e non necessariamente le stesse persone si frequentano su diversi social network, ma ci tengo a restare “riconoscibile”.
D: Ha cambiato strategie identitarie sui social media nel corso del tempo (maggiore/minore esposizione, differenziazione dei profili sui diversi social network ecc.)? Se sì in che misura i cambiamenti sono stati
condizionati dalle caratteristiche delle piattaforme?
Il cambiamento più importante nella mia presenza online è stato forse quello di creare un blog esclusivamente professionale: nel mio primo blog mescolavo argomenti di lavoro (comunicazione e web marketing) a questioni più personali e private (episodi di vita familiare, riflessioni su politica e società, racconti di viaggio); quando ho abbandonato la vita di agenzia per diventare una consulente indipendente, ho sentito l’esigenza di definire una mia presenza online esclusivamente dedicata alle questioni di lavoro.
Al nuovo blog ho dedicato energie e tempo, ma sono contenta di averlo fatto perché in questo momento è per me uno strumento importante sia di elaborazione e riflessione – con spazi più ampi e meno limiti di qualunque altro ambiente non controllato da me – sia di autopromozione.
Un’altra evoluzione importante, che ha interessato via via molte delle mie “presenze online”, mi ha vista passare da profili “privati” (o “lucchettati”) a profili completamente pubblici: ultimamente, ad esempio, anche il mio profilo Facebook è visibile e commentabile da chiunque, e ho anche attivato la possibilità di iscriversi ai miei aggiornamenti senza chiedermi né autorizzazione né amicizia. Ovviamente, sono consapevole che la trasparenza implica il prendermi la responsabilità “pubblica” delle mie parole, che restano scritte online e visibili da chiunque.
Quando ho iniziato a realizzare brevi video didattici, non solo la mia visibilità è improvvisamente aumentata, ma è anche cambiata la mia relazione con chi mi segue online: il fatto di vedermi e ascoltarmi avvicina molto le persone, che mi contattano più facilmente perché in qualche modo sentono di “conoscermi già”.
D: In che modo differenzia il messaggio in funzione dei ‘contesti’ online in cui sta pubblicando?
Ci sono contesti più “professionali” (gruppi LinkedIn, gruppi Facebook aggregatisi sulla base di interessi professionali, blog e discussioni “tecniche”) in cui si fanno conversazioni meno personali, magari con persone che incontro lì per la prima volta: questo implica – come in una conversazione con sconosciuti – un grado un po’ maggiore di “oggettività” e il mantenimento di toni più “neutri”. In altri contesti, ad esempio scambi fra amici su Facebook, c’è molta più libertà e ci si permettono licenze e commenti che magari altrove sarebbero un po’ censurati. Credo che questo faccia parte della normale gestione della conversazione, non solo online.
Poi ci sono ambiti – penso ai SN dedicati alla fotografia – dove lo scambio di commenti e “like” è magari fra perfetti sconosciuti, e ci si segue per affinità totalmente diverse da quelle dei network “conversazionali”.
D: Ai suoi diversi profili/ruoli, dentro e fuori la rete, corrispondono reti di relazione differenti oppure c’è sovrapposizione?
C’è senz’altro una parziale sovrapposizione, e ci sono persone a cui sono collegata praticamente in tutte le reti che frequento, soprattutto chi fa un lavoro simile al mio e li frequenta quasi tutti. Poi ci sono persone che magari usano solo Facebook, e quindi se voglio contattarli online li trovo solo lì.
Nella mia vita ci sono anche persone che non usano la rete, o perlomeno non sono iscritte (ancora?) a nessun social network; magari le sento meno spesso di altri che incrocio quasi quotidianamente online, ma questo non mi impedisce di voler loro bene.
D: Ci sono contenuti che NON pubblicherebbe mai sui social media?
Sì. Per me i social media sono una conversazione fatta in pubblico, e non parlo in pubblico di tutto ciò che mi riguarda.
Ritengo peraltro che ciascuno di noi, sia online che offline, dia di se stesso una sorta di “rappresentazione” in cui mette in scena – più o meno consapevolmente – certi aspetti e ne tace altri. Ci raccontiamo continuamente, con ciò che diciamo e con ciò che non diciamo, e ciascuno – in base al proprio carattere e anche al proprio ruolo – sceglie il punto ideale di equilibrio fra gli estremi di “trasparenza totale” e di “privacy assoluta”.
Per me, che vivo nella comunicazione e uso la rete per creare e mantenere relazioni, questo “punto di equilibrio” è piuttosto spostato verso la trasparenza, ma questo non significa che faccia entrare chiunque in casa mia in ogni momento.
Peraltro la mia “politica di comunicazione” è basata comunque sulla prevalenza della trasparenza e dell’apertura, e l’essere franca e diretta fa parte del mio “vivere ciò che predico”.
D: Quanto la può conoscere una persona che la frequenta solo online?
Sicuramente sa quando lavoro e quando sono in vacanza, può intuire con un buon grado di approssimazione il mio orientamento politico e il mio stile di vita, e farsi un’idea del mio carattere e delle cose che mi piacciono e non mi piacciono.
D: Attraverso i social media si può venire a conoscenza di aspetti della sua vita privata. Questo le ha mai creato problemi, soprattutto sul fronte lavorativo?
No, ma questo è una conseguenza delle mie scelte professionali. Io sono una libera professionista indipendente, devo rendere conto di quel che faccio e delle mie scelte solo a me stessa e alla mia famiglia, e ho scelto di lavorare con progetti e clienti che siano il più possibile “compatibili” con il mio modo di essere e di pensare. Se a qualcuno dei miei clienti (o potenziali clienti) non sta bene come io gestisco la mia vita personale, non intendo farlo diventare un problema mio.
D: Chi è molto attivo sui social media, generalmente, oltre a parlare di sé, parla anche delle persone che conosce e frequenta. Qualcuno si è mai infastidito?
Penso di no, ma non posso garantirlo :-) In realtà la persona che forse potrebbe in prospettiva infastidirsi di più è mio figlio, di cui mi capita di parlare e anche di pubblicare foto, come di portarlo con me in occasioni “sociali”. Per fortuna sembra stia crescendo con un’attitudine alla socialità molto simile a quella della mamma, quindi conto che non se la prenda più di tanto.
D: Che cosa ottiene dalla partecipazione ai social media? Raggiunge risultati che non potrebbe ottenere senza la rete? Che impatto ha la sua presenza in rete nella sua attività professionale e nella sua vita personale ‘fuori’ dalla rete?
La rete sociale ha cambiato la mia vita, assolutamente in meglio. Ho incontrato persone che sono diventate veri amici, ho costruito relazioni di lavoro basate sulla stima reciproca, ho avuto opportunità e occasioni che vent’anni fa sarebbero state per me impensabili. Sicuramente la rete mi prende anche molto tempo, e in certi momenti l’abitudine quasi compulsiva a controllare sull’iPhone quel che si sta dicendo su Twitter o Facebook diventa un po’ invasiva. Però sono ancora capace di vivere scollegata, e non scelgo le vacanze in base alla disponibilità di wifi!
Dal punto di vista professionale, la rete è il presupposto essenziale e anche l’oggetto del mio lavoro di consulente, e il fatto che si evolva continuamente è insieme una sfida (non capita mai di replicare una lezione sui social media uguale alla precedente!) e uno stimolo.
D: Dal suo “osservatorio” sulla rete, ritiene che stia cambiando la presentazione delle identità online? Se sì, come?
Certamente sta cambiando. Stiamo tutti imparando, per prove ed errori, a modulare la nostra identità online in un modo che sia corretto, non ci crei problemi e ci aiuti a gestire meglio le nostre relazioni e le nostre vite. Io penso e spero anche che ci abitueremo ai vantaggi della trasparenza e dell’organizzazione “leggera e agile” resa possibile dal crollo delle barriere e dalla possibilità di accedere direttamente a persone e informazioni.
Ai miei clienti e a chi frequenta i miei corsi spiego sempre che ciascuno deve trovare la propria voce, il proprio punto di equilibrio fra trasparenza e privacy, il proprio mix di ambienti e linguaggi: stare sui social media non è qualcosa che ti ordina il dottore, ma, per scegliere dove partecipare e dove invece non essere, bisogna sapere perché lo si fa, e conoscere le dinamiche, le potenzialità e i rischi: solo così si agisce e si costruisce la propria presenza in modo consapevole, invece di essere agiti dalle dinamiche sociali.
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E’ fantastico scoprire di non essere solo a vivere così 2.0 …. a parte l’iPhone :-P W Android !