“Personal branding” è un’espressione che non amo molto: certi la interpretano come costruzione artificiosa di un’immagine da vendere, o la riducono a una serie di trucchi e ricette: apri il blog, sistema la foto profilo su Twitter, posta su Facebook N volte al giorno, collegati su LinkedIn alle persone giuste, e via andare.
Non sono tutti così: Luigi Centenaro ad esempio (qui il suo metodo Personal Branding Canvas) è uno che ti fa ragionare innanzitutto su chi sei, che obiettivi ti dai, cosa “puoi” veramente fare di buono e di utile; e su queste basi ti aiuta a costruire un percorso che ha, fra i suoi effetti, quello di migliorare il modo in cui il mondo ti vede: ma si tratta di sostanza, non di tattica.
Fatte queste premesse, è ironico come abbia iniziato il 2015 all’insegna del tag personal branding: non solo parlandone in alcune delle puntate del laboratorio itinerante Fill the Gap (nella foto qui a fianco, sto per salire sul palco a fare l’esperta microfonata), ma anche come Ambassador di SheFactor.it, un progetto sul personal branding al femminile che coinvolge più di un migliaio di partecipanti – ironia nell’ironia, l’altra cosa che mal sopporto sono i progetti “per donne”, e lo dichiaro anche nell’intervista che mi hanno fatto per il loro blog.
A quanto pare, ho curato il mio personal brand senza averlo deciso prima (cit.) – credo di aver cominciato quando, da ragazzina scout, lavoravo sugli obiettivi della mia progressione personale. E da sempre le cose che sento importanti hanno a che fare con il cambiamento che parte dalla consapevolezza di sé e della direzione che si vuole prendere.
Nel giugno dell’anno scorso mi sono messa al polso un Fitbit e ho cominciato a fare attenzione ai miei passi, darmi degli obiettivi e sfidarmi ad andare a piedi dove prima andavo in bici, e in bici dove prima andavo in auto. Sono arrivata a pettinare le strade di Manhattan una a una (100km in sei giorni a New York), e ho camminato, dall’estate in poi, più di quanto avessi mai fatto prima.
Più cammino, più cose osservo e meno mi sembrano lunghe le distanze.
Quando Mafe de Baggis in primavera mi ha parlato di “The Plan”, l’anti-dieta che parte con un lungo e rigoroso periodo di detox per identificare i cibi che ti fanno stare bene e quelli che devi evitare, ho letto il libro con una buona dose di scetticismo, ma ho comunque iniziato a ricordarmi di bere di più, pesarmi ogni mattina, e fare attenzione a come sto dopo aver mangiato questo o quello.
Non che avessi particolari problemi di sovrappeso, per carità, ma ho lasciato per strada 4-5 chili, e senza sentirmi in penitenza. Io l’ho fatto solo con la guida della mia bussola interna, ma nel frattempo ho seguito con felicità e gratitudine il viaggio di Francesca Sanzo, che nel giro di un anno si è liberata di una gabbia molto più ingombrante e l’ha raccontato in modo meraviglioso: anche per lei, consapevolezza, accettazione e motivazione sono state la bussola del cambiamento.
Sempre a proposito di cibo, in primavera Silvia Lanconelli mi ha passato il primo mucchietto di pasta madre e ho iniziato l’autoproduzione di pane e pizza: mi piace, mi fa stare bene, ma visto che io conosco i miei tempi e i miei limiti ho subito rinunciato al rigore degli adepti di stretta osservanza (impastate con la luna giusta, rovesciate tre volte la palla, mettete la piega di sotto…), e ho adottato il metodo Pasta madre snaturata™: la rinfresco quando ho tempo e il giorno dopo la impasto e la uso, tanto cresce comunque. Funziona.
Circa un anno fa ho chiesto ad Anna Turcato di guardarmi da fuori e darmi consigli per riorganizzare il mio guardaroba. Poi ho fatto spesso di testa mia (un mio amico ha commentato “conoscendoti, mi sarei stupito del contrario”), ma Anna è stata impagabile e paziente, perfino quando mi sono fatta improvvisamente rossa e le ho scombinato tutta la palette.
Il lavoro che abbiamo fatto non è stato quello di cercare un modello ideale a cui adeguarmi (la matura professionista in tailleur, no grazie), ma di partire da come sono e come voglio sentirmi. Mi ha ricordato il tweet che feci per #2012 cose da fare prima della fine del mondo:
#2012cosedafare trasformarmi definitivamente nella persona che sono
— AlessandraFarabegoli (@alebegoli) March 15, 2012
Posso farlo, mi piace sempre di più farlo: tentare esperimenti, scoprire cosa funziona e cosa no, imparare. Coi capelli ad esempio: ho provato il carré e no, non mi sono riconosciuta, così sono tornata cortissima e rock. Poi, dopo anni in cui rifuggivo il rosso in ogni modo, mi sono detta “perché no?”, e ci ho messo tre giri di tinta per raggiungere il colore che mi piace veramente (sì, quello dell’autunno era “troppo” rosso, Anna, avevi ragione tu).
Anche con Digital Update abbiamo provato e non sempre le cose sono andate come pensavamo: la durata e i temi di alcuni corsi, il modo di promuoverli, i prezzi. È il modo in cui questo progetto è cresciuto dal 2012 ad oggi, ascoltandosi e ascoltando i feedback, e non avendo paura dell’evoluzione.
L’anno scorso ci ho investito tanto (tempo, scrittura, pensieri): è stato una palestra per sperimentare, in cui ho imparato prima ancora di insegnare. Non è un caso se uno degli esperimenti – il corso in sei puntate che regaliamo agli iscritti della nostra newsletter – si basa sul fare un checkup della propria strategia, digitale e globale.
La consapevolezza parte dal corpo: l’ho imparato ballando, perché se non sai dove metti il peso non puoi né guidare né seguire. A ballare ormai non ci vado più (anche se quando lo faccio, è ancora tutto dentro di me, come non avessi mai smesso), ma il lavoro su corpo, postura e respiro l’ho continuato dedicando un po’ di tempo ogni giorno allo yoga, e anche provando qualche tecnica leggera di meditazione (molto utile “Libera la mente”, se hai la curiosità di provare).
Alla fine ho deciso di inserire, nelle mie settimane sempre piuttosto complicate, una lezione vera di yoga, da Roberto e Cecilia che fanno uno yoga attento e concentrato, praticamente meditazione in movimento. Penso al lavoro anche di notte e nei weekend, quindi posso permettermi di riservare un giorno alla settimana a me stessa.
Darmi il tempo di fare le cose che contano davvero è il regalo che mi sto facendo in vista del mio prossimo compleanno, che sarà uno di quelli importanti; il venerdì mattina a lezione di yoga è stato il primo passo.
All’inizio del 2015 è arrivato il momento di lasciare una parte del lavoro che ho fatto in questi anni: scrivere, informare e coccolare gli iscritti dei Digitalupdate. Me ne sono occupata io per due anni e mi è molto piaciuto farlo, e farlo in un certo modo; ora lo fa Silvia Versari, e sia io che Gianluca siamo convinti che sia la persona giusta da aggiungere a questo progetto.
Quando a Washington ho incontrato dal vivo Hans Fex e ho conosciuto tutto il gruppo che sta dietro al progetto del Mini Museum, mi sono resa conto di come la bellezza e la riuscita di quel progetto si fondino anche sull’avere coinvolto le persone giuste. Il Mini Museum ha avuto un enorme successo, e ha retto dal crowdfunding alle consegne in tutto il mondo, non solo perché l’idea di Hans era bellissima, ma anche perché lui ha capito come, quando e da chi farsi aiutare.
Anch’io, adesso, ho visto con chiarezza che non posso star dietro a tutto, e se voglio lasciare spazio ed energie per leggere, viaggiare e scrivere devo passare la mano su un po’ di cose. Farlo prima di essere travolta è uno dei vantaggi dell’esperienza che si acquista, appunto, con il passare degli anni.
Torno al punto, o forse non me ne sono mai allontanata troppo.
L’altro giorno sul palco, alla richiesta di un consiglio su come lavorare al proprio personal brand, ho risposto “Faire, savoir faire, faire savoir”. Mia traduzione libera dal francese: prima viene la sostanza, poi i modi, e infine lo storytelling.
Il lavoro sul proprio personal brand non parte dal creare il blog o aggiornare il profilo LinkedIn, ma dalla rete passa come da ogni altro luogo in cui circolano idee o persone.
Gran parte delle cose di cui ho parlato (il cibo, il camminare, vestiti e capelli) riguardano il mondo degli atomi; ma oggi io mi sento praticamente dotata di superpoteri, dato che grazie ai bit posso alimentare le mie passioni, trovare idee e informazioni, leggere le storie degli altri e raccontarmi in questa inebriante condizione di mass intimacy che nel giro di pochi anni ha moltiplicato la mia, la nostra rete.
Personal branding, networking, PR, tutta la comunicazione, funzionano tanto meglio quanto meno ti concentri su di loro, ma mantieni il fuoco sulle tue intenzioni, lasciando che il resto si allinei in una sequenza naturale, come le vertebre della schiena quando ti allunghi in un asana, cercando il ritmo giusto, ascoltando il tuo respiro interiore. Devi imparare i passi della danza, ma poi, quando balli, balla sulla musica, senza contare i passi: è l’unico modo per divertirti davvero.
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Alessandra, ho letto questo tuo post tutto d’un fiato. In più Tweet ho espresso il mio entusiasmo per Digitalupdate e per le newsletter: mi piace come sai appassionare chi ti legge e mi piace il progetto. Un po’ mi dispiacerá non ritrovarti più tra le mie mail, ma sono certa che Silvia sarà altrettanto brava e attenta: l’avete scelta tu e Gianluca, quindi sarà senz’altro così!
Buon tuffo nei tuoi spazi e tempi. : )
mi piace essere parte, in qualche modo, del percorso. in molte cose camminiamo su stesse strade. io devo ancora mettere a punto alcune tappe. e toppe.
Io aggiungo solo… non esagerare che il prossimo tondo compleanno (tocca anche a me!) insegna che dimagrire troppo a una certa età non dona! Love.
Ale, mi sembri sempre più irragiungibile… Ogni tuo post è uno stimolo ed una frustrazione! Grazie di esistere…
siamo tutte largamente perfettibili, eh, non preoccupatevi :)
Bello bello bello! …e liberante! ;) Mi stra-piace: imparare i passi e poi muoversi sulla musica per divertirsi!