Ho letto la “lettera aperta a un direttore di museo” che apre il blog di Invasioni Digitali e ci ho ritrovato gli stessi concetti che ripeto da tempo ogni volta che mi trovo a ragionare di arte, cultura e rapporto con la rete.
- Anche se tu, curatore o direttore, non usi Facebook (e giuri che non lo userai mai), probabilmente la maggioranza dei visitatori del tuo museo lo usa, praticamente tutti i giorni: e questo è di per sé un motivo più che sufficiente per mettere da parte lo snobismo e provare a esplorare questa parte della rete
- Sopresa, sorpresa! Anche se fare foto nel tuo museo è vietato, se cerchi in rete troverai un sacco di “cartoline non autorizzate” spedite da tuoi visitatori entusiasti. Vuoi prenderne atto, o continuare a ignorare e vietare? (vedi anche “Vietato vietare” sul blog di Roberta Milano)
- Dato che i budget per far pubblicità al tuo museo sono sempre più scarsi, hai considerato che la rete ti permetterebbe di promuovere mostre, eventi e collezioni a un costo più sostenibile, e indirizzando i messaggi non a un target indistinto, ma a persone che hanno maggiore probabilità di essere interessate a quello che fai?
Ci sono in Italia migliaia di piccoli musei, centri visita, aree protette, strette alla gola da mancanza di fondi: sono il nostro patrimonio nazionale più importante, quello che nessuna globalizzazione può delocalizzare.
Come far sì che questo patrimonio non vada sprecato, e generi nuova ricchezza?
Io non pretendo di avere la soluzione in tasca, ma l’unico percorso sano che mi sembra praticabile oggi passa per alcuni snodi:
- apprezzare, coltivare e far crescere il grande potenziale di amore verso l’Italia e il suo patrimonio: diamoci voce, riconosciamoci, noi che mandiamo a tutto il mondo cartoline da luoghi noti e meno noti, noi che quando troviamo un monumento chiuso in un ponte non ce ne facciamo una ragione
- aprire invece che chiudere; facilitare invece che creare ostacoli; distribuire e far distribuire, invece che alzare barriere. Chi gestisce la cultura e l’arte in Italia deve sbarcare nella contemporaneità, prendere atto che “c’è una rivoluzione tecnologica che d’improvviso rompe i privilegi della casta che deteneva il primato dell’arte” (“I barbari“
, Alessandro Baricco), scendere dal piedistallo e accettare di contaminarsi - più tutto questo diventerà una domanda esplicita e collettiva, più condizionerà l’azione politica e amministrativa. Chi mi segue sa che ho sostenuto (e continuo a sostenere) uno dei pochi uomini politici che non perdono occasione di ribadire, dati alla mano, che cultura e turismo creano ricchezza e occupazione, e senza chiedere in cambio la nostra salute o il degrado del territorio, anzi migliorando la qualità della nostra vita: al di là dei nomi, vorrei che davvero questo leit-motiv diventasse priorità e azione quotidiana di chi ci governa
Le Invasioni digitali riassumono perfettamente tutto questo: in pochi giorni e poche settimane, una bella idea lanciata da Fabrizio Todisco è stata condivisa spontaneamente da una rete di persone in tutta Italia.
Siamo in tanti, stanchi di sbadigliare a convegni in cui si ripete a parole che “bisogna fare sistema” ma poi non si fa né sistema né nient’altro. A Ravenna siamo stati io, Lidia Marongiu, Nevio Salimbeni e Giacomo Costantini (autoproclamatici invasori bizantini) a fare aprire alle #invasionidigitali le porte del museo Tamo, alla Cavallerizza (ex chiesa di San Nicolò): l’appuntamento è per sabato 20 aprile alle 15, ci si iscrive qui bit.ly/InvasioniDigitaliRA, venite in tanti perché più siamo e più facciamo cambiare.

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Fantastico sia l’evento che quanto hai scritto: il turismo e l’arte sarebbero delle colonne portanti dell’economia italiana se, oltre ad altri aspetti più “politici”, ci fosse meno scetticismo nell’utilizzare strumenti digitali di vario tipo e ci fossero più possibilità di interazione.
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Ciao Alessandra :)
L’iniziativa mi sembra ottima ed espressione di un impegno “pasionario” nella direzione indicata dal post. Su un punto però mi sento di dissentire: quando si entra in un museo, stiamo entrando in casa altrui, in un ambiente cioè in cui vigono regole che hanno stabilito altri e che vanno rispettate. Tra queste il divieto di fare foto, divieto che – spesso – ha un senso. Il divieto a scattare foto in luogo chiuso non deve essere visto come un ostacolo all’espressione creativa dei turisti (che riusciranno sicuramente a trarre ispirazione dall’opera museale senza imbarazzanti click, permettimi di dirlo :) Deve essere inteso come rispetto (ragionato, sensato, dovuto) dell’opera d’arte. Che poi altri si permettano ugualmente di scattare e inviare è un altro discorso; ma è un gesto che non dovrebbe autorizzare l’anarchismo digitale in luogo museale :)