Nella Canzone dei dodici mesi Francesco Guccini definisce settembre
il mese del ripensamento sugli anni e sull’età:
dopo l’estate porta il dono usato della perplessità.
Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità;
come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità.
Questo stato d’animo mi ha accompagnata non solo a settembre, ma per tutto il 2017. Ho aperto l’anno leggendo “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman, un trattato denso e implacabile sui nostri vizi mentali, sull’abitudine che abbiamo di estendere in modo improprio le nostre valutazioni da una parte al tutto, di scegliere quali indizi considerare e quali ignorare a seconda di quanto si adattano alle decisioni che abbiamo già preso, di attribuire un peso diverso a guadagni e perdite prendendo decisioni statisticamente sbagliate (1).
Più andavo avanti nella lettura, più mi sembrava che il libro mi parlasse del presente, delle polemiche sempre più urlate, del bisogno spasmodico di trovare comunque un colpevole, delle dinamiche di bolle informative e fake news. Proprio in quel periodo sono andata a Trieste per partecipare a Parole Ostili e da quelle due giornate mi sono portata a casa soprattutto la voglia di ascoltare le storie di persone che fanno vite diverse dalla mia, che hanno preso strade differenti, a volte opposte; nei mesi successivi ho ridotto un po’ alla volta il volume delle fonti “già note” per fare spazio a persone nuove o, meglio ancora, al silenzio.
Sono stanca delle parole: in questi anni ne abbiamo scritte tante, troppe, spesso a sproposito e senza avere gli elementi necessari per dare un parere sensato. Del Manifesto di Parole Ostili ho eletto subito come mia regola preferita l’ultima:
Nel 2017 ho condiviso meno post su Facebook, twittato di meno, pubblicato meno foto su Instagram; rispetto agli anni precedenti però ho scritto qualche post in più sul blog e ogni mese una lunga newsletter, ho letto romanzi, ho cominciato seriamente a studiare spagnolo con un corso via podcast davvero ben fatto.
Fino a qualche anno fa ero convinta (e non ero la sola) che internet sarebbe stata la piattaforma per una società più aperta e inclusiva; oggi ho davanti agli occhi una rete e una realtà diverse da quelle che speravo, e in peggio. Ho cambiato idea su molte cose, o più semplicemente a volte riesamino assunti che davo per scontati e mi trovo ad ammettere che la realtà può essere interpretata e raccontata in modi diversi; in base al racconto a cui scegli di credere prenderai una strada o un’altra, e il risultato finale non sarà una funzione della “verità” del racconto, ma piuttosto dell’efficacia del sistema che questo racconto va a modellare.
Non è un pensiero rassicurante: in genere i discorsi semplificati ed estremisti funzionano meglio di quelli complessi perché hanno una virulenza che ne facilita la diffusione e generano catene di comando più veloci. La mia scelta di resistenza è nella pratica quotidiana, nel ridurre il rumore e cercare di fare bene quel che c’è da fare, seguendo il precetto scout di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato; certo, questo è un momento in cui la Resistenza è in fuga, ma la storia non è ancora finita.
Benvenuto, 2018.
(1) Se vuoi un assaggio del libro di Kahneman, durante la lettura sul Kindle ho evidenziato i brani per me più significativi e li ho raccolti in questo GDoc.