Questa è la traccia del mio intervento al Bootcamp Reno 2018
Io sono una di quelle persone che nella vita attraversano molte molte passioni, e il tango argentino è stata una delle esperienze che mi ha segnata più a fondo.
Ho iniziato a praticarlo quando ancora era molto difficile trovare scuole, maestri e sale dove ballare. Oggi i corsi di tango, le milonghe e i festival si sono moltiplicati un po’ ovunque, ma a metà degli anni ’90 in Italia si ballava tango solo in poche città — Milano, Bologna, Roma, Trieste. Fummo io e un piccolo gruppo di altri fanatici che, con ostinazione e molta tenacia, riuscimmo a creare il primo gruppo stabile di tango argentino in Romagna, portando per la prima volta un maestro a fare lezioni regolari e organizzando pratiche e feste.
Questo succedeva nella seconda metà degli anni ’90, che fu anche un periodo in cui molte altre cose cambiarono nella mia vita: conobbi il mio futuro marito, diedi le dimissioni da dipendente e diventai prima freelance e poi imprenditrice, abbandonai l’informatica “classica” e iniziai a lavorare su Internet; e nel frattempo, per quasi dieci anni, due o tre sere ogni settimana uscivo per andare a lezione di tango o per ballare fino alle quattro del mattino in milonga.
Se, come dice Italo Calvino,
Il camminare presuppone che a ogni passo (…) cambi qualcosa in noi.
beh, era normale che il tango mi cambiasse: ballare è un modo speciale di camminare e il tango è una camminata e insieme un viaggio dentro se stessi. Così, imparando a ballare, ho imparato molte altre cose che continuo a portarmi dentro anche oggi che a ballare non ci vado quasi più.
Innanzitutto ho imparato molte cose sul processo stesso dell’imparare. Il tango, come altre danze, è un po’ come una lingua: fatta di parole, frasi, stili. Quando impariamo una nuova lingua cominciamo ripetendo alcune frasi semplici e studiando le singole parole che le compongono; nel ballo, le parole sono i singoli passi, i movimenti elementari che possiamo fare:
Si comincia imparando i passi più semplici che, messi insieme, formano le figure base; la più classica, la salida basica, è una successione di passi molto semplici, in avanti, all’indietro e di lato.
Le prime lezioni le passiamo imparando e ripetendo le figure base e sforzandoci di diventare via via più precisi nell’esecuzione dei passi e più naturali nell’unirli in figure; poi, un po’ alla volta, impariamo a legare le frasi (le figure) una all’altra, a combinare i passi (le parole) in modi diversi creando nuove figure, che si fondono le une alle altre in una danza via via più fluida e naturale.
Ho detto naturale? Quasi niente di ciò che sappiamo fare (leggere, scrivere, andare in bicicletta o guidare l’automobile) è naturale: lo diventa solo attraverso la pratica, ripetendo, provando e riprovando finché ciò che prima era nuovo — e per farlo dovevamo concentrarci bene e pensarlo — diventa parte di noi, lo sappiamo fare senza bisogno di ragionare su quello che stiamo facendo.
È un processo più o meno lungo a seconda di quanto è complesso ciò che stiamo imparando; certo, conta quanto siamo portati — per le lingue o la danza o la guida di un mezzo — ma sempre e in ogni caso è la pratica che fa la differenza; e solo dopo che abbiamo praticato abbastanza a lungo la conoscenza diventa parte di noi, tanto che possiamo permetterci di fare delle pause, di abbandonare per un po’ la pratica, ma poi ricordarci all’istante come si fa non appena torniamo in pista.
Un’altra cosa che ho imparato ballando è l’importanza dei ruoli. Il tango è un ballo difficile, complesso, e una delle condizioni essenziali perché possa accadere è che nella coppia ciascuno abbia un compito chiaro e univoco: c’è chi guida — il leader — e chi segue — il follower.
Quando siamo in pista, con poco spazio e sulla musica, non c’è contrattazione sul “cosa facciamo adesso”: a uno spetta il compito di guidare i passi, scegliere in che direzione andare e a quale velocità, e l’altra metà della coppia segue ed esegue.
Per tutta una serie di motivi storici e culturali, la distribuzione tradizionale di questi ruoli è che nel tango l’uomo guida e la donna segue. Questo, per inciso, è anche uno dei motivi per cui io ci ho messo tanto tempo a imparare a ballare, dato che la mia attitudine spontanea è più quella di dirigere che non di seguire; così per anni ho combattuto con il mio istinto di prendere il comando, finché a un certo punto sono riuscita a lasciar(mi) andare, scoprendo quanto poteva essere rilassante, ogni tanto, affidare la guida e le decisioni a qualcun altro.
È anche il motivo per cui in genere le donne ci mettono meno tempo prima di essere in grado di andare in pista e divertirsi. Guidare implica dover decidere per sé e per un altro, è più complesso e richiede la conoscenza non solo del proprio ruolo ma anche di quello altrui. Per questo gli uomini, nei cortili del barrio, si esercitavano ballando fra di loro: per guidare bisogna anche sapere cosa sente la donna quando viene portata, che passi e che movimenti può fare, come va portata per trasmetterle la direzione e l’ampiezza dei movimenti.
Così, se nel lavoro siamo il capo di qualcun altro, ci aiuta moltissimo aver fatto noi stessi il lavoro di quelli che adesso dobbiamo guidare: per sapere quali sono le loro difficoltà e le cose che invece possiamo chiedergli, per capire come farli lavorare in condizioni migliori e con risultati migliori.
Se qualcosa va male, è colpa di chi guida. Se nel tango la donna non trovo lo spazio per fare una figura, se non capisce cosa deve fare, se ci si scontra con un’altra coppia, è sempre sempre sempre colpa dell’uomo. La guida significa prendersi la responsabilità anche e soprattutto quando le cose non vanno bene, e capire come farle funzionare.
Dall’altra parte, la ballerina c’è, è tutto fuorché un manichino spostato in giro dall’uomo! Una ballerina è responsabile del suo corpo, del suo peso, dello stare in asse: sa ascoltare e sa prendersi lo spazio che le viene dato, non va per approssimazione, il suo è un ascolto attivo e attento, la sua esecuzione è esatta ed elegante.
Nel tango è l’uomo che decide il ballo, ma lo fa per dar modo alla donna di risplendere, di esprimere al massimo la sua potenzialità.
Il bravo ballerino capisce se sta ballando con una principiante — e allora non le chiederà cose che lei non è in grado di fare, per non confonderla e non farla bloccare; o se ha fra le braccia una ballerina esperta, con cui può inventare sequenze inedite e spingersi in passi complicati, veloci, rari.
Un tango funziona se chi guida è capace di comprensione e rispetto, e balla non per far vedere quanto è bravo lui, ma per godere insieme la musica.
Come può funzionare questa dinamica così difficile? Non è che ci si metta d’accordo prima su che passi faremo (parlo del tango che si balla in sala, ovviamente, non degli spettacoli e delle coreografie): in pista l’uomo decide e guida la danza che si fa in due, senza bisogno di parlarsi, e visto da fuori sembra quasi impossibile.
È tutta una questione di comunicazione, di capirsi e sentirsi al volo.
Chi non ha mai ballato spesso pensa che il bello di un tango stia nei movimenti delle gambe e dei piedi; ma chi balla sa che la parte più importante di un tango è nell’abbraccio, è lì che i due ballerini diventano un essere solo, è lì che l’uomo definisce lo spazio in cui sta la donna, è lì che la donna trova lo spazio in cui agire. Nell’abbraccio l’uomo sente e porta la donna, e lei sente la direzione, la velocità e l’intenzione che prende il ballo.
Il presupposto perché la comunicazione funzioni è la conoscenza di se stessi: sentire il proprio corpo, sapere se siamo in asse, dove teniamo il peso, fino a che punto possiamo spingere il nostro equilibrio. In una lezione di tango sentirete ripetere più volte la domanda “dov’è che avete il peso adesso?”; e più ballate, più imparerete cose su voi stessi, perché ogni sentimento e ogni cambiamento passano dal corpo.
Quanto più sappiamo come e dove stiamo noi, tanto più diventiamo capaci di metterci nei panni dell’altro, di sentirne le emozioni, le intenzioni e le potenzialità. Ballare è una relazione fra adulti che imparano a comunicare fra loro senza nemmeno bisogno di parlarsi, perché crescono ogni giorno in consapevolezza.
Abbiamo imparato i passi e come combinarli; conosciamo noi stessi e ci sappiamo mettere in relazione con l’altro, ascoltare e comunicare; a questo punto, possiamo ballare. Ma non balleremo sempre lo stesso tango: tutto quello che abbiamo imparato lo potremo usare per ballare su musiche diverse, e a seconda della musica cambierà il tipo di tango che facciamo.
E cambia carattere a seconda della musica che c’è.
Ci sono i vals, a cui si addicono delle figure ampie, dei giri; il vals è morbido, è rotondo, inebriante.
Poi c’è la milonga: veloce, nervosa, spesso inquieta, con passi ritmici e spezzati, rimbalzi e contrappunti.
E il tango, suonato da orchestre diverse, cambia: su un tango di Juan D’Arienzo si balla stretto, milonguero, camminando veloci:
Con l’orchestra di Osvaldo Pugliese il tango diventa struggente, lirico, si prende pause di sospensione e si apre in figure più ampie.
Fuor di metafora, saper fare qualcosa significa anche sapere come adattarne il tono alle circostanze, e a volte anche scegliere di non ballare, se non ci piace la musica che stanno suonando a questo giro.
La sala non è solo per noi: ci ballano contemporaneamente decine di coppie. Se ciascuno andasse dove gli pare, si trasformerebbe in un autoscontro: questo non succede perché c’è una regola base condivisa da tutti, quella di girare in senso antiorario. Questa regola, molto semplice, permette a ciascuna coppia di ballare il proprio tango condividendo con gli altri una risorsa limitata, lo spazio; e, come accade, sta nell’abilità dei ballerini saper giocare nelle regole con maggiore o minore successo.
Perché stare nella pista, per l’uomo che guida, non è subito semplice: bisogna trovare lo spazio per avanzare, se vuoi fare una figura particolare, ad esempio un giro in cui per un attimo cammini all’indietro, devi sapere che dietro di te non c’è nessuno e farlo in uno spazio in cui puoi fare girare intorno a te la tua ballerina, insomma è tutto più difficile rispetto a quando a lezione ti puoi prendere tutto il posto che vuoi.
Non a caso nelle piste affollate i ballerini bravi li vedi subito: sono quelli che riescono a prendersi i giri più esterni, quelli in cui si ha più gioco per fare le proprie figure e oltretutto ti vedono meglio da fuori; i ballerini scarsi invece un po’ alla volta finiscono intrappolati verso il centro pista, ad aspettare l’occasione giusta per fare la figura che hanno in mente.
E questo succede anche ogni volta che ci troviamo a competere insieme in un contesto affollato: più siamo bravi ed esperti, più riusciamo a interpretare e giocarci le regole scritte e non scritte, trovare il nostro spazio e giocare come vogliamo noi.
Che tu balli il tango o un altro ballo, reale o metaforico, una cosa è importante: goditelo, stacci dentro, ascolta quello che senti mentre balli e mettiti in ascolto delle persone che ballano con te. Pratica e pratica ancora, perché più ci cammini e più crescerai in bravura, leggerezza e naturalezza; e più balli, più imparerai qualcosa su di te e sulla danza.
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putroppo non sono potuta venire al romangna camp, ma la tua presentazione è davvero bellissima.
ciao ;-)
Me la sono persa, arrivata troppo tardi, mannaggia. Però ancora complimenti per tutto il resto :)
molto belle le foto
ancor di più quello che hai scritto
mi hai fatto pensare al mio tango
ho visto i miei stati d’animo riflessi
nelle tue slide
un ulteriore conferma che il tango non è solo un ballo
grazie
Riccardo
Questa presentazione è bellissima, perchè costruita su un pensiero che è contemporaneamente profondo e coinvolgente. Davvero brava Alessandra!
Grazie :-)
Era una “prima prova”, mi piacerebbe avere altre occasioni per lavorarci sopra e ri-presentarla, magari potendomi concentrare un po’ di più sulla presentazione in sé senza dover badare troppo a far girare il contorno ;-)
Felice di essere stata parte di questa tua espeirenza. Felice di averti ritrovata. Non ho visto la tua presentazione ma ritrovare lo spessore “educativo” del tango è fonte di piacere e di orgoglio.
Brava Farabegoli, il tango è bella chiave di lettura per imparare ad imparare da se stessi, dal proprio partner e dagli altri. Regole che diventano sentimenti e viceversa. Utile in tutti i campi delle relazioni umane.
A te che condividi con me e le altre le tue esperienze , grazie. non ho mai ballato e non so ballare, ma intuivo, osservando le coppie che ballano, quanta bellezza di sentimenti si manifesta nei passi di danza; lo splendore della vita è anche questo
Grazie per la condivisione delle tue esperienze. Lo splendore della vita è anche questo.