Qualche tempo fa, un’agenzia di comunicazione (una di quelle solide agenzie che lavorano da decenni, con account e art director esperti e un prestigioso portfolio clienti) mi ha contattata per un’attività di formazione da loro organizzata a beneficio di un cliente “importante”.
Nel corso della giornata, un paio di “esperti indipendenti del mondo web” avrebbero spiegato agli uomini marketing del cliente “come il digitale ha cambiato il marketing”, con un’analisi di scenario più generale e un intervento (il mio) più pragmatico e operativo su modi e strumenti del marketing in rete; i project manager dell’agenzia, a loro volta, avrebbero ripreso questi temi declinandoli sulla specifica realtà del cliente.
Per preparare la cosa mi è stato mandato uno schema degli argomenti che si volevano toccare, e si è concordata una videochiamata per confrontarci sulla scaletta. Prima della chiamata io ho fatto mente locale sul cliente e sono andata a visitare il suo sito, un onesto sito di inizio secolo con un paio di link a menu che non funzionano più (da quanto tempo?).
La conversazione che ho avuto con quelli dell’agenzia è stata surreale. La lista argomenti che avrei dovuto coprire in un’ora di intervento era più o meno quella che di solito affronto, senza pretese si approfondimento, in un corso introduttivo sul marketing online di 20-30 ore: si andava da SEO/SEM alle Digital PR, dal display adv all’email marketing, passando per affiliate mktg (?), eCRM e molto altro. Tuttavia questo non sembrava preoccupare più di tanto i miei interlocutori, il cui principale timore era invece che il cliente venisse “turbato” dalla scoperta che, online, c’è gente che parla liberamente del suo brand al di fuori del suo controllo.
Quindi, “meglio non parlare troppo di social”, ma piuttosto “è preferibile usare degli schemi a cui il cliente è abituato, come quelli della pubblicità classica”; alla mia osservazione che i modi, linguaggi e schemi della pubblicità tradizionale sono, inevitabilmente, da ripensare quando si va online, la risposta era “sì, ma di questo avremo modo di parlare in futuro, per il momento è importante non spaventarli, fargli capire che anche online possono continuare a segmentare il target e fargli arrivare il loro messaggio, esattamente come hanno sempre fatto offline”.
A un certo punto ho cominciato a immaginarmi il cliente come se fosse stato appena tirato fuori da una cella frigorifera, nella quale era rimasto in ibernazione per gli ultimi 15 anni: ovvio che occorre essere un po’ delicati in queste operazioni di scongelamento, e non gli si può rivelare tutta la verità in una volta, no?
Quando ho provato a suggerire che, parlando di utilità e usabilità dei contenuti, avrei potuto prendere come esempio alcune parti del sito, mi è stato risposto che non era proprio il caso, “questi del marketing sanno che il sito così com’è non va bene, ma poi questo discorso lo affronteremo, devi capire che sono anni che loro non ci guardano al sito, praticamente non sanno nemmeno come è fatto”.
Il culmine lo abbiamo raggiunto quando – provando a ragionare sulla voce “approccio generale e tool di analisi” – ho proposto di toccare l’argomento delle web analytics, e in generale di evidenziare come online sia possibile e indispensabile definire degli obiettivi misurabili e monitorarli con strumenti quantitativi. Il project manager junior, ormai evidentemente terrorizzato dalla prospettiva di fare incontrare al cliente una pericolosa rivoluzionaria come la sottoscritta, ha chiuso la questione con “ma tanto il cliente i report di analytics mica li leggerà mai, quelli restano a noi!”
Insomma, alla fine della chiamata la netta impressione che mi ero fatta era che a loro servisse qualcuno che, indossando il cappello dell’esperto indipendente, recitasse al cliente un copione già scritto, il cui succo si risolveva in “non sta succedendo nulla, affidateci fiduciosi il vostro budget e tornate a dormire sonni tranquilli”.
Ho promesso, col tono di una che non ha alcuna voglia di farlo, che avrei cercato di costruire un discorso compatibile con tutti i “non possumus”, e la chiamata si è chiusa, lasciandomi tornare ai miei pensieri e ai miei altri lavori.
Dopo qualche ora, il project junior mi ha scritto che, pur confermando la fiducia nella mia indubbia preparazione professionale, forse era meglio se cercavano una voce “più vicina al sentire del cliente”.
Dal mio punto di vista, è stato sicuramente meglio così: non sono fatta per farmi mettere in bocca la linea, e se c’è una cosa di cui sono assolutamente convinta, è che tutto è cambiato, altro che. Probabilmente non sarei riuscita ad emendare abbastanza il mio intervento, e in ogni caso il compenso non avrebbe certo pagato lo sforzo e il disagio.
Una cosa mi preme dirvi: se volete qualcuno che vi racconti “va tutto bene, è tutto come prima”, state lontani da me, non sono la professionista che fa per voi. Il mio lavoro è aiutarvi a capire come sono cambiate le cose, a nuotare nel cambiamento, a starci dentro e possibilmente davanti. Il mio lavoro è liberarvi delle abitudini che non funzionano più (o non hanno mai funzionato tanto, ma voi non sapevate come misurarlo).
Il 90% delle agenzie “tradizionali” (e probabilmente una buona fetta delle agenzie web) sono morte e non lo sanno – o fanno finta di non saperlo, terrorizzate dal fatto che i loro clienti se ne accorgano. Forse anche il 90% dei clienti delle agenzie è morto e non lo sa, ma non per questo l’evoluzione si ferma e torna indietro. Esseri più leggeri, veloci ed efficienti prenderanno il posto dei dinosauri, e questo è bene – tranne che per i dinosauri, ovviamente.
Se invece vi siete accorti anche voi che le cose sono cambiate e continuano a cambiare; se volete stategie che funzionano; se vi interessa spendere i vostri soldi e tempo per risultati concreti; allora probabilmente posso fare qualcosa per voi. Di certo non vi terrò nascosti i dati del vostro sito, anzi, vi romperò le scatole perché impariate a leggerli anche da soli, e, se volete imparare a capirli meglio, chiamerò anche gente più esperta di me per insegnarvi a farlo.
Astenersi perditempo e dinosauri.
[vignetta di Hugh MacLeod
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Grande post.
Anche se ci sarebbe da piangere… Ecco un classico esempio del perché siamo indietro di intere ere geologiche nell’evoluzione della comunicazione.
Un cliente che sia un dinosuaro lo possiamo forse capire. Non giustificare, ma capire. Se nessuno gli bussa mai alla porta per narrargli che il mondo della comunicazione si è evoluto e continua a evolversi, probabilmente continuerà a pensare di essere all’età della pietra. Non tutti sono curiosi per natura e non tutti amano avventurarsi fuori dal proprio settore per aggiornarsi su cosa capita altrove.
Quello che è ben più drammatico è che a restare fermi a secoli fa siano gli operatori del settore (allargo il discorso oltre le agenzie, ho idea che non solo loro amino nascondere la realtà dei fatti). E che lo facciano scientemente, cioè lasciando il cliente nell’ignoranza: un classico modo di portare a casa i soldini troppi patemi, ma effettivamente fornendo un disservizio al cliente che prima poi, all’improvviso, si troverà completamente spiazzato di fronte al salto epocale che gli verrà richiesto per adattarsi al mondo reale.
E pensare che – quando si parla di online, web, Internet e affini – tutto ciò che si riesce a dire è che c’è il problema del digital divide. Vero, certamente. Però anche se avessimo tutti la fibra ottica cosa cambierebbe, se questi sono gli escamotage con cui si trattano i clienti?
Povera Italia.
Lo dicevo proprio alla tavola rotonda su “italia digitale”, durante il primo Knowcamp: il problema, prima che di infrastrutture (che la banda larga in molti posti c’è e giace inutilizzata, o male usata), è di cultura e approccio alla rete.
Ma tant’è, io cerco di fare la mia parte, e so di non essere la sola :-)
fa venire i brividi, questa storia. e racconta uno spaccato dell’azienda che è possibile trovare anche in altri settori (penso alla ricerca, che è quello a me più vicino, per esempio: la ricerca è lo strumento dedicato alla rassicurazione, quindi puoi immaginarti che cosa succede).
il cambiamento è un’attitudine mentale, o ce l’hai o non ce l’hai. e credo che, nel caso di aziende come quella che descrivi, il problema sia in larga parte nel fatto che “l’azienda” è considerata un’entità al di sopra e diversa dall’insieme delle persone che ne fanno parte. il salto avviene quando si guarda oltre le caselle degli organigrammi e si riempie di senso – di identità – ciascuna di esse. cosa niente affatto banale. e rischiosissima.
per la tua scelta, chapeau :)
[…Il 90% delle agenzie “tradizionali” (e probabilmente una buona fetta delle agenzie web) sono morte e non lo sanno – o fanno finta di non saperlo, terrorizzate dal fatto che i loro clienti se ne accorgano.]
Mi è scattato l’applauso con ovazione incorporata. Bel lungi dall’essere ai tuoi livelli di professionalità, mi sono sentita dire molto spesso di ‘tranquillizzare’ il cliente dicendogli che va tutto bene. ah ah ah. E quando mi arrivano proposte commerciali da agenzie dello scorso millennio, perdo ancora tempo a spiegargli come, invece, potremmo cambiare le cose. Ma il budget è sacro.
Io son qui che spero che i ‘brand’ si rendano presto conto che le agenzie amano l’ignoranza del cliente proprio a favore del budget che intascano.
Grande Alessandra
anche a me è capitata più o meno la stessa cosa
la triste realtà è che molte agenzie hanno interesse a lasciare i clienti nell’ignoranza
ma così facendo squalificano il settore, alimentano la diffidenza nei confornti del web e di chi fa onestamente il lavoro di creare cultura sulla rete
Di continuo mi scontro con aziende che analizzano i dati internamente grazie a stegisti o pseudo “marketing woman/man” che dopo aver effettuato un video Corso Extreme Seo/Sem effettuano operazioni che portano al 98% dei casi alla distruzione del “CREDO NEL WEB”…..
Grande, grandissima. Sono anni che si parla di “cultura di marketing” – anche prima della rivoluzione – e che si cerca di nascondersi alle conseguenze che ha, avere una cultura di marketing, sulla strategia e sulla struttura delle aziende. Chi sa di marketing (che sia web, mktg tradizionale o category management poco importa) viene chiamato a spiegare e a far capire, ma guai se si discosta dal ruolo della “maestrina dalla penna rossa” che finita la lezione lascia il campo a chi “sa di business”. La verità è che in Italia il marketing è sottovalutato e spesso ridotto a sinonimo di comunicazione, o, peggio a sinonimo di grafica.
Una, cento, mille Farabegoli!
gradissima! :D
Una analisi impietosa e vera, che confermo per quanto riguarda alcune mie esperienze personali. Che paradosso: non posso dire di conoscere bene Alessandra, ma sono sicuro che lei è una professionista “vicina al sentire del cliente”, proprio quello che le viene rimproverato dal project junior. PS: a me pare che quella agenzia più che essere vicina al sentire del cliente sia molto vicina al suo portafogli, anzi talmente vicina che quasi quasi ci scappa spesso la manina dentro…
Fantastico e illuminante articolo. Io però non avrei resistito: al terzo “ma sai il cliente…” mi sarei rivolto all’agenzia in modo molto sarcastico. Era evidente che temevano di fare la figura dei “poco informati” (diciamo così”, rispetto a te.
Bellissimo post, ho rivisto un sacco di esperienze che ho vissuto in prima persona. Il problema è che la generazione prima di noi s’è mangiata tutto con questo approccio e ora spesso anche “mostrare la verità” ed essere trasparenti non serve a nulla per il terreno bruciato… auguri alle agenzie in estinzione ;)
E se questo approccio non le ucciderà del tutto, ci sarà sempre l’azione che Google e Facebook stanno facendo di contatto diretto con le aziende che renderà nullo il lavoro di intermediazione di agenzie ma anche di strategisti e liberi professionisti…
Speriamo ci salvi solo la necessità imprescindibile di un approccio organico e trasparente che solo le persone trasparenti possono portare avanti.
Oltre a voler nascondere la verità all’azienda cliente, i signori in questione hanno tentato pure un’altra brutta mossa: strumentalizzare te e la tua professionalità riducendoti a burattina che esegue e dice quanto deciso ai fini più fruttuosi per loro. Mi fa pensare a certe belle parlamentari parlerine.