Oggi a Torino ho partecipato a Molecole, giornata organizzata da Legambiente Piemonte e da La Nuova Ecologia.
Una premessa necessaria: La Nuova Ecologia era una delle mie riviste preferite negli anni in cui, fra il liceo scientifico e l’università, scoprivo l’ambientalismo, e pensavo che, attraverso lo studio della biologia, ne avrei fatto il mio mestiere.
Poi le cose presero una piega diversa, capii che la carriera scientifica non era fatta per me (o, meglio, ero incompatibile con l’ecosistema universitario italiano), mi riciclai come informatica, e per qualche anno misi tutto in un cassetto; per riaprirlo poi, nell’intorno dei trent’anni, con una breve ma avventurosa parentesi come attivista di Greenpeace (azioni, blitz, gommoni & C) e un’altrettanto breve collaborazione con una cooperativa di poetici ed eroici educatori ambientali (li ho rivisti nei giorni scorsi per dare loro un po’ di dritte su come usare la rete). Chiusa quella parentesi, dopo poco mi sono tuffata in rete, e ho trovato la mia strada.
Tuttavia nulla si crea né si distrugge, cosicché Klout reputa che uno dei temi su cui io sono “influential” sia l’ecologia, e, in effetti, la sostenibilità resta uno dei temi-guida su cui cerco, il più pragmaticamente possibile, di improntare le mie azioni.
Fatta questa lunga premessa autobiografica, quando Marco Fratoddi, direttore de La Nuova Ecologia, mi ha invitata a partecipare a Molecole, premettendo con molta onestà che ne avrei ricavato un gettone puramente simbolico, ho pensato che potevo fare un’eccezione alla mia regola “solo lavori pagati a tariffa piena”, e rituffarmi per un giorno nel vortice dell’associazionismo ambientalista.
Così sono arrivata a Torino e ho partecipato a una giornata che, devo dirlo senza alcuna piaggeria, era organizzata secondo una formula davvero felice.
Nella mattinata, dopo alcuni interventi frontali, i partecipanti si sono distribuiti fra i quattro workshop paralleli, animati rispettivamente da me (video e photo sharing), Vittorio Pasteris (barcamp e nuove forme di conversazione), Letizia Palmisano (strategie di produzione contenuti) e Marco Stranisci (geoblogging e narrazione sul campo). Ciascuno di noi, in una sorta di fiera virtuale del sapere 2.0, illustrava il proprio argomento alle persone che via via si univano al gruppo, replicando via via la stessa presentazione e rispondendo alle domande dei ragazzi.
Prima di arrivare, non avevo idea di che tipo di persone sarebbero state presenti: con mia sorpresa, buona parte del pubblico era costituito da alcune classi delle scuole superiori, il che – lo confesso – mi ha inizialmente creato non poco sconcerto. Ma, quando la fiera è partita, il fatto di trovarmi a raccontare a dei “nativi digitali” (che, tecnicamente, avrebbero potuto essere miei figli) i fattori di successo, le caratteristiche, la storia dei social network di condivisione multimediale, mi ha divertita moltissimo, e, a giudicare da tutte le domande che mi facevano, penso si siano divertiti anche loro.
Nel pomeriggio invece c’è stato il contest di progettazione, con quattro gruppi impegnati a simulare un progetto di comunicazione ambientale: nel mio caso, coordinavo il team che aveva come oggetto la creazione di una campagna digitale per Eco.Energia, una società toscana che gestisce Olly, un sistema di raccolta degli oli domestici; gli oli di frittura infatti, se smaltiti nelle fogne, aumentano enormemente i costi di depurazione, mentre possono essere recuperati e utilizzati per produrre energia.
L’ora e mezza di lavoro coi ragazzi e con le persone dell’ufficio marketing di Eco.Energia ci ha permesso di affrontare tanti aspetti della comunicazione online, dall’ascolto ed esplorazione della rete, al farsi trovare, al creare contenuti che invitino le persone a condividerli con la propria rete.
Alla fine abbiamo imbastito un bel po’ di idee su come distribuire un piccolo budget di comunicazione online, e credo che tutti – gli studenti ma anche quelli di Eco.Energia – siano tornati a casa con idee nuove e utili.
Io, mentre torno verso la Romagna in treno, rimetto in ordine a mia volta tutti i pensieri di oggi.
Ho misurato tutta la distanza che si è creata, in questi anni, fra me e un certo tipo di ambientalismo – massimalista, ostile a priori verso il mondo delle imprese, pronto ad alzare barriere non appena si affronta il tabù del profitto.
Forse è che sono invecchiata, o più probabilmente è che nella mia vita ho fatto l’esperienza del crearla, un’impresa, e di incontrare tante persone che una volta avrei considerato antagonisti, e che invece ho stimato e devo ringraziare; ma oggi, quando sento dire cose tipo “contribuire a Wikipedia è cosa buona e giusta perché fa crescere il sapere comune; invece, condividere contenuti su Facebook, è una cosa che fa paura, perché contribuiamo solo al profitto di un’impresa privata“, mi girano le scatole perché questo diavolo di profitto delle imprese private – che piaccia o no a certi docenti universitari – è quel che tira avanti la baracca e paga le tasse e gli stipendi di un sacco di gente.
[sull’intervento dell’attivista anti-TAV mi taccio per carità di patria, che è meglio]
Ho constatato con sconforto come i ragazzi non sappiano quasi nulla di banali principi di economia: quanto costano le cose e i servizi, quanto sia necessario misurare se rendono, come si debbano tenere in conto tanti fattori – tasse, attrezzature, giusta remunerazione. Questi giovanetti, così pronti a considerare semplice fare una campagna su Internet “tanto è gratis“, sono quelli che poi fra un po’ protesteranno per i tirocini pagati male, e non si capaciteranno del fatto che le aziende scelgono sulla base del “cosa mi costa ottenere i risultati che voglio”. In compenso, agiscono in rete con pochissima consapevolezza delle regole, e infatti usano per i loro gruppetti un’abbondanza di fake profile FB, e suggeriscono con disinvoltura di fare cose che un’attenta lettura dei contratti vieterebbe di fare.
Insomma, c’è tanto da studiare: e infatti ho salutato i ragazzi del mio tavolo esortandoli a imparar bene a leggere, scrivere e far di conto, a studiare le lingue, a non fermarsi alle approssimazioni; speriamo che, detto da una che non è la prof di tutti i giorni, il consiglio venga apprezzato.
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La distanza tra te e un “certo tipo di ambientalismo” riflette in modo perfetto il solco che si sono scavati, di loro spontanea volontà, molti ambientalisti tradizionali. Un atteggiamento che ho visto spesso nei miei interlocutori parlando di comunicazione ambientale. La sostenibilità oggi è anche un concetto economico, funziona solo se conviene (verbo un po’ brutale ma del tutto veritiero) a tutti i soggetti principali. Ci vuole collaborazione, non chiusura ideologica. Chi si definisce “ambientalista” forse vive in un tempo che non c’è più e non ha una chiara consapevolezza dei problemi del mondo di oggi, come tu spieghi perfettamente. Iniziamo oggi a fare bene la raccolta differenziata, il mondo si salva così, non con i bei discorsi di principio.
Riccardo, sono completamente d’accordo. Se non è sostenibile economicamente, non riuscirà mai a tenersi in piedi, e quindi non avrà effetti sulla sostenibilità ambientale. Anche qualche ripasso del concetto di “riduzione progressiva del danno” non farebbe male (tipo rendersi conto che bruciare gli scarti, con tecnologie il più possibile controllate e sicure, è meglio che bruciare petrolio, che fra un po’ finirà e che ha costi ambientali enormi di estrazione e trasporto).