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Personal Branding per freelance

Scritto il 25/09/2021
  • Digital Marketing
  • Riflessioni, opinioni, sbrocchi

[Nel nuovo libro scritto da Luigi Centenaro insieme a William Arruda, “Digital You – Fai carriera con il personal branding online”, c’è un mio contributo, frutto soprattutto di dieci anni di esperienza col Freelancecamp; lo pubblico qui col permesso dell’autore]

Lavorare da freelance implica un esercizio pressoché quotidiano di consapevolezza. 

Senza la certezza di uno stipendio fisso, il nostro reddito dipende dalla continuità del nostro lavoro, perciò – volenti o nolenti – dobbiamo dedicare una parte considerevole del nostro tempo e delle nostre energie ad attirare opportunità; anzi, per meglio dire, a farci scegliere e comprare, in un mercato spesso affollato di persone che fanno più o meno il nostro stesso lavoro.

Già capire questa cosa – che il tempo e l’energia che dedichiamo a farci scegliere sono anch’essi parte integrante del nostro lavoro – è un grande passo avanti, per nulla scontato: in questi anni, incontrando ai Freelancecamp centinaia di freelance alle prime armi, ho constatato quanto stupore susciti il rendersi conto che, lavorando in proprio, solo una parte del nostro tempo riusciremo a dedicarla a quello che sentiamo come “lavoro vero” (i servizi per cui ci pagano, che si tratti di web design, programmazione, interpretariato o altro), e quanto invece dovremo investire, in modo continuativo, su relazioni e promozione.

Ho parlato di consapevolezza

Per me significa riflettere, senza dare mai nulla per scontato, sul senso del proprio lavoro.

  • Quali sono i nostri obiettivi a breve e medio termine? 
  • Con che tipo di clienti vogliamo lavorare? 
  • Su quali progetti?
  • Quali sono i valori importanti per noi, a cui vogliamo restare coerenti, da cui non possiamo prescindere?

Sottolineo il “senza dare nulla per scontato” perché col passare degli anni si cambia, si evolve, e, se i valori restano in genere costanti perché fanno parte di noi, non così è per gli obiettivi, gli interessi, il mercato di riferimento.

Una volta chiarite le idee su tutto questo, il passo successivo è domandarci:

Quello che è chiaro ai nostri occhi lo è anche “visto da fuori”?

  • Qual è il valore percepito del nostro lavoro per chi è già cliente o potrebbe diventarlo?
  • Cosa pensano di noi le persone che lavorano nel nostro stesso ambito e che potrebbero fare il nostro nome per un progetto o coinvolgerci in una collaborazione?
  • Quanto siamo “trovabili” o, invece, quanto è difficile incontrarci e capire la nostra proposta di valore?

Guardarsi da fuori, con gli occhi degli altri, è un esercizio che richiede empatia e umiltà. Uno dei miei mantra è una citazione dal romanzo Caos calmo di Sandro Veronesi, il cui protagonista ricorda che “la gente pensa a noi infinitamente meno di quanto crediamo”: agli occhi dei nostri potenziali clienti noi possiamo essere, nella migliore delle ipotesi, la soluzione di un loro problema, la risposta a un loro bisogno, e ciò che aumenta la probabilità di far scattare la scintilla che porta a dire “è la persona che fa per me” è un lavoro paziente di costruzione e posizionamento della nostra offerta. Certo, l’elemento della casualità, della fortuna, aiuta sempre, ma la fortuna va aiutata, mettendosi nelle condizioni di aumentare la probabilità degli incontri e di un loro esito positivo.

Quindi, in concreto?

Il passaggio dalla riflessione all’azione è spesso fonte di criticità, perché agire significa mettere in fila le attività, definirne le priorità, stimare i costi (a fronte dei risultati attesi) e spesso aver bisogno di affidare parti del lavoro ad altre persone: design di logo e immagine coordinata, progettazione di un sito web adeguato, creazione di contenuti, distribuzione di questi contenuti attraverso canali digitali e non (perché esserci non significa essere visibili).

Non esistono ricette preconfezionate valide per tutti, ma sono utili le checklist, strumenti quali i Canvas, gli esercizi da usare in modo critico, riflettendo su scopo e funzione di ogni strumento nel “nostro” caso, così da creare un piano d’azione (e di investimenti) sostenibile. Quando iniziamo a lavorare in proprio o quando la nostra vita professionale è a uno snodo importante, è necessario che questo si rifletta nel modo in cui ci presentiamo al mondo e che le innumerevoli tracce che lasciamo di noi – la nostra impronta digitale sempre più estesa – siano coerenti e allineate con gli obiettivi e il posizionamento che ci siamo dati.

L’esperienza del Freelancecamp è stata e continua ad essere una palestra in cui lavoriamo su questi temi in molti modi:

  • condividendo strumenti, metodi, consigli;
  • raccontando esperienze che possono stimolare riflessioni, identificazione, nuove idee;
  • creando e rafforzando le reti informali, che sono un favoloso veicolo di passaparola;
  • offrendo a chi partecipa l’occasione di farsi conoscere attraverso un talk, un’intervista sul blog, o la semplice partecipazione alla conversazione collettiva.

Così il Freelancecamp è al tempo stesso un’occasione per imparare a fare un buon personal branding (dove con buono si intende senza formulette magiche, ma che approfondisce in modo competente metodi e strumenti utili) e un palcoscenico in cui mettersi in gioco, dove la generosità della condivisione viene premiata con la generazione di un passaparola fecondo che negli anni ha visto nascere collaborazioni, progetti, evoluzioni professionali.

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