Tre episodi degli ultimi giorni, tutti collegati alla comunicazione dei servizi e alla cura dei clienti.
Scegliere l’hosting per progetti medio-piccoli è sempre una scommessa, perché di storie “fino a ieri mi sono sempre trovato benissimo con <inserire provider a scelta>, ma adesso fanno schifo” io ne ho vissute, direttamente e non, a decine.
Da qualche tempo registro i domini su Ovh, che per le registrazioni ha prezzi davvero bassi, ma fino a un po’ di tempo fa tenevo i miei siti altrove; poi, l’anno scorso, in vista del redesign di questo sito, ho pensato di provare anche il loro hosting, di cui un po’ di persone in gamba mi avevano parlato bene, e ho attivato un pacchetto Performance.
Il pacchetto di hosting Performance viene venduto come il top di gamma dell’hosting condiviso Ovh, e costa 5 volte rispetto all’hosting base; nella pagina di descrizione campeggia lo slogan “risorse garantite”, e il messaggio che passa è “stai tranquillo che questo è un servizio serio”.
In qualche mese ho portato su Ovh questo sito, quello di Digitalupdate, e quello di un cliente; e, come da legge di Murphy, appena l’ho fatto sono iniziati i problemi, con server fuori linea a volte per pochi minuti, a volte di più.
Durante uno degli ultimi down il sito Ohhh.it è stato fuori linea o lentissimo per un’intera mattinata, durante la quale:
Lo stesso concetto mi è stato ribadito via Twitter, dove anzi mi sono pure presa su un “ti preghiamo di moderare i toni”, la cosa migliore da dire a un cliente arrabbiato se vuoi farlo definitivamente imbestialire.
Naturalmente il contratto dà formalmente ragione a loro, perché un uptime del 99,9% significa che non si esclude l’1 per 1000 di down, che, su 8.760 ore in un anno, significa quasi 9 ore di down; certo uno non le vorrebbe tutte nei primi 4 mesi di abbonamento, soprattutto quando sono accompagnate da un servizio clienti arrogante che ti tratta con supponenza al telefono e su Twitter (e non solo questa volta).
Morale: cara Ovh, non so se io ho voglia e tempo di cambiare provider una volta all’anno, ma d’ora in avanti sconsiglierò caldamente a chiunque di acquistare il tuo hosting. Non hai perso (ancora) una cliente, ma hai guadagnato una spina nel fianco, perché io parlerò male di te ogni volta che se ne presenterà l’occasione.
Qualche mese fa la Tre mi chiama e mi fa un’offerta fantastica, a integrazione del mio piano voce+dati: una seconda scheda dati a traffico illimitato, che posso usare come modem a cui attaccare fino a 10 dispositivi, sia a casa sia in viaggio, più un tablet praticamente in regalo.
Dato che in quel periodo l’ADSL di casa andava a giorni alterni, colgo la palla al balzo, e, dopo aver più volte chiesto “ma veramente il traffico è illimitato? senza soglia mensile? a velocità LTE? sicuri?”, attivo la nuova scheda, e inizio a usarla, sia a Ravenna che quando sono in giro per l’Italia.
Due sere fa, a Bologna, visto che il wifi dell’hotel andava lento, tiro fuori il mio modem-saponetta, ma ci sono problemi a collegarsi a Internet. Controllo sull’iPhone, che mi dà campo LTE senza problemi; riprovo, spengo e riaccendo il modem, poi alla fine mi rassegno e vado a dormire.
La mattina dopo, uguale: iPhone collegato, scheda dati del modem zoppa. A quel punto, chiamo il 139, spiego il problema, e finalmente scopro che il contratto che mi è stato venduto come “traffico illimitato” in realtà una soglia ce l’ha, solo che è molto alta (30GB), quindi non mi era mai capitato di raggiungerla; arrivati ai 30GB, non c’è sovrapprezzo ma la velocità crolla a 56k, il che rende il modem completamente inutile fino al prossimo mese.
Morale: mi sento presa in giro dalla Tre che mi ha venduto la scheda, perché se avessi saputo che c’era una soglia mi sarei regolata diversamente (tipo: se devo scaricare un aggiornamento di app o sistema operativo, magari lo faccio la sera dall’ADSL invece che usare allegramente traffico dalla mia scheda; e ogni tanto, una controllata del traffico consumato). Lo so che se avessi letto per filo e per segno le scritte in corpo 6 del contratto me ne sarei resa conto prima di firmare, ma mi sarei sentita comunque presa in giro.
Io odio gli assegni, una forma di pagamento obsoleta e scomoda, che io non uso più da anni per pagare, e che scoraggio in tutti i modi quando devo ricevere io dei soldi. A metà di ottobre, però, un iscritto last-minute di un Digitalupdate ha chiesto a Silvia se poteva pagarci con un assegno, e lei ha preferito prendere l’assegno subito che rincorrere un bonifico nei giorni successivi al corso.
Così io ho girato per quasi due settimane con l’assegno nella borsa, senza trovare il tempo di andarlo a versare, finché mercoledì sera, mentre ero a Bologna, sono passata davanti all’Unicredit di via Rizzoli e mi sono ricordata che nei bancomat più smart posso versare un assegno nel conto anche da una filiale che non è la mia.
Ci ho messo un paio di tentativi per capire dove e quando mettere dentro il pezzo di carta, ma alla fine ero tutta contenta, e ancor di più la mattina quando dalla app ho visto gli euro accreditati sul conto; senonché, a metà pomeriggio, mentre ero in aula a seguire la lezione di Anna Turcato, mi suona il telefono, e il cassiere dell’Unicredit di via Rizzoli mi dice che sull’assegno manca la mia firma di girata sul retro.
Maledicendomi per non avere cercato su Internet “come si usano gli assegni” prima di versare, gli chiedo a che ora chiudono: le 16:30, cioè stanno chiudendo in quel momento. Gli spiego che io vivo a Ravenna, e che ho versato nella loro cassa continua perché mi trovavo per caso a Bologna, e in quel momento sono in un’aula in Strada Maggiore, quindi a 5′ da loro; lui ci pensa un momento, poi mi dice che, se posso uscire e andare subito lì, mi aspetta e risolviamo tutto.
Così prendo al volo borsa e giacca, faccio di corsa mezza Strada Maggiore e arrivo alla banca, dove in quel momento le porte sono chiuse e stanno già facendo le pulizie, ma dentro ci sono il cassiere e il responsabile filiale che mi vedono e mi vengono ad aprire: entro, faccio la firma mancante, mi ringraziano perfino, li ringrazio a mia volta e sono libera.
Morale: qualcuno che mi poteva dire “mi spiace signora, torni quando siamo aperti” ha deciso di essere un po’ più disponibile del dovuto, e mi ha risolto un problema di cui ero io la responsabile, non loro; e questo non nel negozietto sotto casa, ma in una banca che ormai è una multinazionale.
Le commodities sono servizi che compriamo perché ci servono e non perché li desideriamo, e spesso siamo rassegnati a subirli come una rottura di scatole inevitabile. Le aziende che lavorano bene – e sono poche – sono quelle capaci di diventare trasparenti, e farsi notare perché, contro ogni aspettativa, le cose funzionano come dovrebbero.
Qualche giorno fa uno dei miei corsisti, che lavora in Welcome Italia, chiacchierava con un altro che ha detto di essere loro cliente, e di essersi sempre chiesto come fanno a rispondere veramente “entro il terzo squillo”, come promesso nei loro spot; e la risposta è stata “abbiamo fatto in modo di far funzionare le cose talmente bene che di telefonate ce ne sono poche, perché se lo standard di servizio fosse quello solito delle telco, per rispondere entro 3 squilli ci vorrebbe un call center grande 20 volte il nostro”.
Ecco, io non sono una loro cliente, ma la strada da scegliere è quella.
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Per l’hosting, Siteground tutta la vita.
Alessandra Farebegoli Santa Subito :D
Sull’hosting purtroppo ho una storia simile alla tua… Ero prima con qualcuno che forse conosci, ma alla fine sono andato altrove perché il downtime mi stava facendo uscire matto (e mai che te lo dicessero in tempo che ci sarebbe stato…).
Su internet credo che facciano riferimento a quello che da noi si chiama “fair usage”, espressione criptica che nessuno ha mai capito, ma che in soldoni si traduce con “sì illimitato, ma con limiti”. Almeno a te hanno detto che sono 30 GB. Ma mi chiedo… come hai fatto a superare il limite? Ti sei messa a guardare film a manetta? 30 GB è oggettivamente parecchio :D