Se in questo periodo sto scrivendo poco nel blog, c’è una ragione: il progetto di scrittura che assorbe buona parte del mio tempo è un libro, “Sopravvivere all’informazione in rete”, che uscirà a inizio estate nella collana Pocket Color di Apogeo.
Il libro sarà dedicato a come filtrare, organizzare, ritrovare al momento giusto l’immensa mole di informazioni in cui siamo quotidianamente immersi: vi anticipo qui le prime pagine, così mi fate sapere che ne pensate.
Si stima che ogni giorno vengano pubblicati 500 milioni di post sulla piattaforma WordPress.com (che ospita circa il 50% dei blog WordPress presenti in rete); scritti 200 milioni di tweet (Twitter, giugno 2011); caricate su YouTube 1.152 ore di video; pubblicati su Flickr 4,5 milioni di foto.
Travolti da questa valanga di informazioni, trascorriamo le nostre giornate lavorative passando da una schermata all’altra di post da leggere, email da aprire, newsletter da scorrere.
I nostri amici e le persone che seguiamo sui vari social network ci inondano di aggiornamenti sulla loro vita e di segnalazioni di link: ciascuno di questi ci apre, potenzialmente, un’altra serie di collegamenti da esplorare, o ci sollecita a iscriverci a un’altra newsletter, a un altro blog, a un’altra pagina Facebook, cioè a nuovi flussi di informazioni da elaborare ogni giorno.
Posti di fronte a questa situazione, in molti reagiscono moltiplicando gli sforzi per stare dietro a tutto, o, al contrario, chiudendo le saracinesche e rifugiandosi in una volontaria ignoranza: entrambi i comportamenti, se da una parte sono umanamente comprensibili, dall’altra comportano rischi o effetti collaterali.
La corsa del criceto nella ruota
Chi vuole “star dietro a tutto” ha due opzioni: o frammentare la propria giornata seguendo ogni stimolo nel momento in cui questo arriva (via email, feed RSS, link su un social network, notifica di un aggiornamento), o accumulare enormi pile di cose da leggere, che smaltirà durante le ore serali o notturne, i weekend, il tempo una volta libero.
Nel primo caso, la produttività subisce un calo immediato: il multitasking funziona per attività che non richiedono attenzione o “presenza”, ma, se dobbiamo preparare un’offerta o una relazione, mettere in ordine le cifre di un bilancio, scrivere una routine di programmazione, è indispensabile riuscire a entrare in quello stato che viene definito di “flusso”, in cui la nostra mente è immersa completamente nel lavoro che sta facendo e riesce a “tenere il filo del discorso”.
Se mentre stiamo scrivendo ci interrompiamo ogni cinque minuti per leggere qualcos’altro, alla fine della giornata avremo fatto una gran fatica per produrre un testo che, probabilmente, soffrirà di incoerenze e inesattezze dovute alla nostra distrazione.
Nel secondo caso, ci troveremo un po’ alla volta prosciugati del tempo necessario per rigenerarci, soprattutto all’aperto, lontani da un video, con le persone a cui vogliamo bene. Meno sonno e di qualità peggiore, vita sedentaria, magari un regime alimentare in cui i cibi sani e cucinati in casa vengono via via rimpiazzati, per esigenze di tempo, da piatti pronti industriali: la ricetta magica per minare la nostra salute fisica e mentale.
Lo struzzo con la testa sotto la sabbia
Perché allora non rifugiarci nella beata ignoranza? Uscire dai social network, disinteressarci a ciò che avviene nel mondo e intorno a noi, non restare aggiornati sulle news del nostro settore; e farlo non per una settimana di “vacanza dal mondo”, ma come scelta di vita e di lavoro…
Scelta lecita, ma altrettanto pericolosa. In un mondo che cambia a velocità un tempo inimmaginabili, ignorare le tendenze, le opportunità, i pericoli, significa aumentare enormemente il rischio di trovarsi, dall’oggi al domani, “tagliati fuori”: dai concorrenti più veloci di noi ad adattarsi e anticipare i tempi, dalla possibilità di reinventarci un lavoro perché ciò che abbiamo fatto finora sta uscendo dal mercato, o anche da reti di amici che si consolidano sempre più attraverso gli scambi che avvengono online.
Esiste una terza via?
Se farsi trascinare dalla corrente o, al contrario, fuggire nell’ignoranza, sono entrambe strade che non portano da nessuna parte, esiste una strada percorribile?
La notizia buona è che questa strada esiste, e che possiamo prendere in mano attivamente il timone del nostro rapporto con le informazioni; tuttavia, questa strada non è facile e automatica, e richiede da parte nostra l’impegno a imparare e mettere in pratica con continuità uno stile di informazione più sano.
La dieta informativa
Nel suo saggio “The Information Diet”, Clay A. Johnson traccia un interessante parallelo fra il dilagare dell’obesità e i nostri problemi di sovraccarico informativo.
Nel corso di gran parte della storia dell’umanità, il cibo ha costituito un problema essenzialmente perché era scarso. Solo nel corso dell’ultimo secolo l’industrializzazione e la meccanizzazione agricola hanno reso disponibili, a prezzi molto bassi, grandi quantità di cibo ad alto contenuto calorico – cibo di produzione industriale, raffinato e progressivamente impoverito, il cosiddetto junk-food.
Gli esseri umani, programmati da millenni di carestia a “mangiare il più possibile” quando il cibo c’è, perché non è detto che domani ce ne sarà altrettanto, non sono allenati a essere selettivi e parchi: se c’è tanto cibo, semplicemente, tendono a ingozzarsi senza ritegno; da qui tutti i noti problemi di salute pubblica, dalle carie in tenera età alla percentuale sempre in crescita di bambini obesi e così via. Di fronte a questa situazione, è necessario imparare nuovi comportamenti alimentari, e abituarsi a preferire i broccoli alle patatine fritte, seguendo una dieta il più possibile variata, leggera e ricca di verdure.
Allo stesso modo, dopo millenni in cui produzione e controllo dell’informazione era appannaggio di un’élite, Internet ha rivoluzionato il panorama, mettendo a disposizione di tutti la possibilità di produrre, diffondere e trovare informazioni di ogni tipo.
In questo nuovo scenario, è enormemente cresciuta la quantità di informazione-spazzatura: false notizie, leggende metropolitane amplificate dal passaparola, nozioni di pseudoscienza prive di ogni verifica, propaganda mascherata.
Internet è però, al tempo stesso, anche il mezzo più potente per produrre, diffondere e avere accesso a informazioni di prima mano e di alta qualità. E, come sta a ciascuno di noi scegliere di adottare buone abitudini alimentari, allo stesso modo abbiamo la possibilità di costruirci una “dieta informativa” che non ci appesantisca, non ci faccia diventare obesi e incapaci di muoverci, ma al tempo stesso ci fornisca tutti i componenti necessari per svilupparci e muoverci in un mondo che cambia.
Il primo passo per adottare una dieta informativa sana è liberarci dall’ansia di dover per forza consumare qualunque informazione su cui abbiamo facoltà di mettere le mani. Così come non moriremo di fame se non ci ingozziamo di salatini, allo stesso modo non rischiamo nessuna seria carenza informativa se resistiamo all’impulso di esplorare ogni link e notifica che ci passa sotto gli occhi.
L’alfabetizzazione digitale
L’analfabetismo è un handicap: non essere in grado di leggere e un testo comprendendone il significato e di esprimere un concetto per iscritto in modo chiaro ed efficace significa trovarsi in grosse difficoltà sia sul lavoro sia nella propria vita privata.
Oggi però è necessario anche un altro tipo di alfabetizzazione: quella che ci permette di filtrare l’enorme flusso di informazioni a cui siamo sottoposti per selezionare le fonti valide e utili; e, a nostra volta, di produrre e diffondere informazioni.
Questo “alfabetismo digitale” ci consentirà di essere più efficienti, riducendo il tempo che ci serve per cercare, elaborare, archiviare le informazioni a vantaggio del tempo che dedichiamo a produrre noi stessi qualcosa (il nostro lavoro); al tempo stesso saremo più efficaci, perché saremo in grado di trovare e usare le informazioni che ci servono.
La scuola tradizionale finora non è mai andata oltre l’alfabetizzazione classica: le persone della mia età sono andate a scuola quando la Rete era ben al di là da venire, ma anche i cosiddetti “nativi digitali” frequentano scuole in cui raramente si apre la didattica all’uso del web.
Bisogna quindi che “impariamo da soli”, anzi che “impariamo a imparare”: e non sto parlando di imparare l’uso di uno o più strumenti (anche se nel libro ne descriverò alcuni che possono aiutarci), ma di imparare un metodo, quello che ci permetterà di sopravvivere – anzi di vivere bene – nell’età dell’abbondanza di informazione.
Qual è il vostro metodo? Avete consigli, trucchi, suggerimenti? Vi ascolto :-)
Ogni domenica mando una newsletter, che contiene:
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Gentile Alessandra,
leggo con piacere il suo blog da qualche tempo. Il post di oggi sembra rispodere perfettamente a una problematica con cui mi sono scontrata proprio nelle ultime settimane. Sto infatti conducendo degli “studi” da autodidatta online sul webmarketing e il numero di siti, link blog e testi cartacei e non sull’argomento, come lei sapra’ bene, e’ estremamente vasto. Nel giro di pochi giorni mi sono resa conto di consultare una media di 30 pagine online e di perdermi spesso nel labirinto dell’ipertesto: alla sera, dopo ore al pc, non sempre avevo davvero assorbito quanto letto. Nel mio caso, non trovando probabilmente una soluzione migliore ho deciso di affidarmi alla mia capacita’ selettiva: scorrere la pagina per cercare delle parole chiave/argomenti che mi interessano in questo momento e bypassare il tutto se non li trovo. Certo questo “metodo” puo’ andar bene quando ci si focalizza su una tematica precisa… per la questione da lei posta sto ancora cercando una soluzione per gestire il bombardamento digitale. Forse il suo libro mi dara’ qualche spunto interessante. Un saluto cordiale.
Questo è ‘il Problema’ numero uno del mio ultimo anno lavorativo, durante il quale la produttività mia è calata drasticamente proprio per colpa dell’enorme flusso di informazioni continua. Come un criceto, esattamente come definisco da sempre lo stile di vita di chi lavora in rete o grazie alla rete, si macina di continuo e si è perennemente distratti da qualcos’altro. Si rischia l’overdose che per me poi si risolve nel rifiuto per un periodo più o meno lungo della rete. Ci vuole molto autocontrollo, esattamente come quando si mangia per golosità e noj per necessità e bisogna secondo me lavorare anche sulla propria autostima, per non rischiare di sentirsi rimanere indietro se non si conosce ogni minima novitá offerta dalla rete.
La dieta informativa regge se uno si rende conto di essere grasso o sovrapeso di informazioni. Stabilirlo e prima ancora rendersene conto diventa pertanto essenziale.
A me piace pensare ad un “umanesimo informativo”, qualcosa del tipo dell'”human managment” di cui scrive Mereghetti. Una sorta di controindicazioni, di controcanto libero.
Non vedo l’ora di leggere il seguito ;): io cerco di darmi dei tempi e un po’ di rigore, ad esempio quando scrivo chiudo i social, quando sto sui social se ho poco tempo mi salvo i link che mi interessano di più su evernote e li leggo in seguito (spesso tagliando molto e cercando la prima fonte, quando si tratta di notizie). Ma il tempo è il nostro nemico, quindi attendo i tuoi consigli con impazienza. Non mi viene sempre facile conversare ad es su twitter proprio perchè l’interazione toglie attenzione pur essendo vitale.
A quando l’uscita del libro?
Ciao Alessandra! aspetto con interesse questo nuovo tuo lavoro. Devo dire che con l’arrivo di Pinterest mi son, sinceramente, chiesto se “l’insieme” (ogni uno ha il suo :) non sia una nuova forma di spam… poi per fortuna ci sono (tante) eccezioni. quindi… ci vuole impegno per cogliere… e te se sei già data da fare! buon lavoro!
Bell’articolo, complimenti Alessandra. Mi è piaciuto molto il paragone con l’obesità e ti faccio una domanda: e se esistessero persone che sono “naturalmente” portate ad “ingrassare” di notizie? :)
Credo che parte del problema sia dovuto anche ad un cambiamento di paradigma sul modus lavorandi:
Ci fu un tempo in cui tenere il flusso del discorso era più facile perchè esisteva una netta distinzione tra tempo del lavoro e tempo libero. Questa distinzione filtrava tutta la mole informativa di messaggi di, come dire, ” servizio”. Per fare un esempio nessuno ti telefonava al lavoro per farti sapere che la figlia aveva avuto problemi di pancia ed era stato sveglio tutta la notte.
Nella società prossima ventura questa distinzione salta e oltre alla massa di informazioni distraenti ma che almeno potrebbe esserti utili per lavoro, siamo sommersi di messaggi di amici o pseudo tali che creano rumore del tutto fuorviante. Per tornare all’esempio di prima il tweet di cui sopra appare una cosa assolutamente naturale .
Tornando alla tua metafora, è come se invece di alimentarci con tre pasti giornalieri fossimo finiti a vivere costantemente in un buffet aperto h24: è chiaro che diventa più facile di prima diventare obesi.
Resta la domanda a cui non so rispondere se sia meglio cambiare stanza o imparare a vivere nel buffet limitandosi a guardare e non toccare.
il tema è importante e urgente, non vedo l’ora di leggere il resto. nel frattempo, mi fa piacere segnalarlo anche su un sito di cui mi occupo: http://www.circolidiascolto.org/blog/alessandra-farabegoli-e-l-overload-informativo/
appena ho letto del libro ho pensato “lo voglio!” e cosi’ sara’ :D
per rispondere alla domanda, tendo a scremare “col machete” e a mettere da parte in attesa di lettura le cose che mi interessano; molte finiranno comunque nel cestino senza essere state lette, ma cerco di dare almeno una scorsa a quelle che mi possono davvero interessare
il problema piu’ grosso al momento sono i link utili: ne ho moltissimi e dei piu’ vari, ma a parte quelli sempre sottomano, negli altri mi ci perdo e quando mi servono non li trovo piu’; non ho ancora risolto il problema e di questo passo penso che finiro’ per andare in pensione prima di riuscirci, ehehe
Il tema è sicuramente centrale, e, se mi passate l’insistenza nella metafora “alimentare”, non è che possiamo scegliere più di tanto di uscire dalla sala buffet per tornare allo status quo ante.
Non ho la pretesa di avere soluzioni definitive e valide per tutti, ma penso che già diventare consapevoli (sia della situazione cambiata, sia della nostra maggiore o minor propensione a resistere alle tentazioni di abbuffo) sia un primo passo importante.
Il cambiamento inizia con un passo alla volta!
Ora mi rimetto al lavoro, perché la scrittura degli ultimi capitoli mi chiama: il libro dovrebbe uscire a maggio-giugno, ma io dovrei consegnare il testo a metà marzo, e dovrò lavorare duro per finire in tempo ;-)
Una tecnica che cerco di applicare e’ quella che ho appreso da Tim Ferries: leggere e-mail solo due volte al giorno: mai comunque come prima azione della giornata
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