Qualche giorno fa Donato Markingegno ha pubblicato nel suo blog un’Apologia dello Yesbutter. Quando ho letto il titolo, sono saltata subito sulla sedia, e sono corsa a leggere il post, dedicato ad analizzare l’atteggiamento ideale del bravo consulente/fornitore: questi, secondo Donato, non deve dire sempre sì alle richieste del cliente (“si può fare questo? si può fare quello? e perché non anche quest’altro?“), ma riflettere criticamente e far capire al proprio cliente quando una richiesta è poco opportuna o, addirittura, dannosa.
Completamente d’accordo con Donato sul comportamento da tenere coi clienti: senza arrivare a essere saccenti primi della classe, le richieste dei clienti vanno spesso sfrondate dai desideri impossibili, e sempre dirottate o respinte quando comportano comportamenti scorretti.
Niente affatto d’accordo, invece, nel confondere “yes men” e “whynotters”.
La contrapposizione YesButters / WhyNotters è una semplificazione retorica della dialettica continua – non solo fra le persone, ma anche all’interno di ciascuno di noi – fra intuizioni innovative e paura del cambiamento; e purtroppo, in questa battaglia, troppo spesso vedo vincere la resistenza e la paura.
Quante volte avete presentato un’idea nuova, un case study interessante, uno strumento o un metodo che semplificherebbe e migliorerebbe un’attività, e vi siete trovati di fronte a risposte come:
A me è capitato mille volte. La resistenza al cambiamento è una costante della cultura aziendale, soprattutto italiana, e in certi ambiti – penso soprattutto alla Pubblica Amministrazione – è il coperchio di piombo che soffoca ogni progresso e mantiene intatto lo status quo.
Così ci trasciniamo dietro tutte le nostre obiezioni, perdiamo tempo in decine di riunioni, formalmente per sentire il parere di tutti, in realtà per pararci il didietro contro accuse che potrebbero sorgere in caso di guai, o per vincolare l’azione al raggiungimento di un utopico consenso plenario.
Ma il cambiamento non si ottiene cercando l’unanimità, e non ha un’assicurazione di successo al 100%: il cambiamento avviene per prove ed errori, e, più siamo pronti a provarci, prima impariamo, sia dai successi che dai fallimenti.
Perciò, io voglio vedermi intorno più WhyNotters che YesButters: gente che smette di parlare e inizia a fare, perché solo quando passiamo dal dire al fare possiamo davvero creare qualcosa.
Non trovo chiusura migliore di questo post che citare “The Cult of Done Manifesto“: smettiamo di procrastinare nascondendoci dietro ai nostri “ma”, rimbocchiamoci le maniche e corriamo qualche rischio nel fare.
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Ottima lettura, che peraltro non leggo affatto come contrapposta alla mia, ma semplicemente proiettata da un differente punto di vista.
Ovvero, spero che un consulente non sia uno “yesbutter” nei confronti dell’innovazione, semmai c’è da augurarsi che in azienda ci sia almeno uno whynotter che non ponga resistenza inutile alle proposte di innovazione del consulente.
se interessa inserisco il testo completo della “poesia” da cui il titolo
Yesbutters and Whynotters
Yesbutters don’t just kill ideas.
They kill companies, even entire industries.
The yesbutters have all the answers. Yesbut we’re different.
Yesbut we can’t afford it.
Yesbut our business doesn’t need it.
Yesbut we couldn’t sell it to our workforce.
Yesbut we can’t explain it to our shareholders.
Yesbut let’s wait and see.
All the answers. All the wrong answers.
Whynotters move Companies.
The next time you’re in a meeting, look around and identify
the yesbutters, the notnowers and the whynotters.
God bless the whynotters. They dare to dream. And to act.
By acting, they achieve what others see as unachievable.
Why not, indeed?
Before the yesbutters yesbut you right out of business.