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Internet per genitori (2a parte)

Scritto il 08/03/2015
  • Riflessioni, opinioni, sbrocchi

(Questa è la seconda e ultima parte di una riflessione sull’uso consapevole della rete tenuta insieme a un gruppo di genitori; qui trovi la prima puntata)

Una volta compreso che è il caso di preoccuparci dei luoghi che frequentano i nostri figli, anche online, iniziamo a costruirci una mappa dei territori più frequentati.

I cosiddetti social network

Il termine social network è un equivoco: Facebook, Twitter, Google+, LinkedIn, dovrebbero essere più correttamente chiamati “servizi online per il social networking”, perché i social network propriamente detti non sono altro che “reti sociali”, una caratteristica delle relazioni fra individui che accompagna l’umanità da milioni di anni.

Ciascuno di noi, da ben prima che arrivasse Internet, fa parte di una quantità di reti: familiari, scolastiche, associative, lavorative. Ognuna di queste reti ha un proprio “oggetto sociale”, segni di (auto)riconoscimento, regole implicite ed esplicite che definiscono le relazioni fra chi ne fa parte; quel che è successo negli ultimi 15 anni è che ci siamo trovati in mano strumenti che ci permettono di:

  • gestire in modo molto più rapido ed economico la comunicazione all’interno delle reti di cui già facciamo parte (una mailing list o un gruppo segreto su Facebook sono mille volte più efficienti della catena di telefonate);
  • restare in contatto facilmente con persone che altrimenti avremmo perso, riducendo così il costo di mantenimento dei legami sociali “deboli” (il gruppo di persone che si sono conosciute in vacanza, la classe delle elementari);
  • cercare e trovare persone che ancora non conosciamo ma con cui condividiamo passioni e interessi, creando nuove reti all’interno delle quali, spesso, sul terreno della passione comune germogliano amicizie e amori.

L’uso dei cosiddetti social network è ormai generalizzato; in Italia ci sono 25 milioni di persone che usano Facebook (i profili aperti sono 28 milioni, 25 milioni sono quelli che nell’ultimo mese hanno effettivamente usato Facebook almeno una volta), oltre 9 milioni su Twitter, oltre 5 su LinkedIn (dati aggiornati sull’Osservatorio Social Media di Vincenzo Cosenza). E Badoo, uno dei social network fatti per cuccare, mi dice che se voglio fare amicizia con ragazzi o ragazze italiani dai 18 agli 80 anni ne trovo più di 10 milioni – il 70% sono maschi e il 30% femmine, come mai il dato non mi stupisce?

Anatomia di un social network

Ciascuno dei servizi online che ho citato, e tutti gli altri social network, è contraddistinto da una serie di caratteristiche e regole, che possiamo leggere e analizzare.

Che tipo di rete “serve”:

  • personale: amici, parenti, compagni di scuola;
  • professionale: colleghi, persone che lavorano nello stesso settore o filiera;
  • legata a passioni coltivate nel tempo libero: sport, politica, hobby.

Motivazioni prevalenti che spingono a collegarsi ad altre persone:

  • sancire un collegamento che esiste già (ci conosciamo offline: è la spinta prevalente nel “chiedere l’amicizia su Facebook”);
  • coltivare un interesse comune o seguire persone che hanno i nostri stessi interessi (seguo su Twitter persone che scrivono cose interessanti, cerco su Instagram progetti fotografici stimolanti);
  • stringere nuovi legami (cerco partner su Badoo o Tinder, o chiedo su LinkedIn il contatto a perfetti sconosciuti).

Struttura delle relazioni fra i membri della rete:

  • simmetrica o reciproca: l’amicizia su Facebook, il collegamento su LinkedIn;
  • asimmetrica o unidirezionale: il “seguire” su Twitter e su Instagram, che non è necessario ricambiare.

Contenuti che si possono pubblicare:

  • testi, più o meno lunghi;
  • link ad altri contenuti online;
  • immagini, video, suoni;
  • collezioni, gallerie, compilation;
  • punti su una mappa.

Interazioni possibili con i contenuti pubblicati e con gli altri membri della rete:

  • approvazione (mi piace) e, in rari casi, disapprovazione (pollice verso);
  • discussione (commenti);
  • distribuzione (condividi, fai girare);
  • chiamata in causa di qualcun altro o qualcos’altro (taggo una persona o un’azienda, mi geolocalizzo in un certo luogo);
  • messaggi privati (diretti o all’interno di un gruppo non pubblico).

Regolazione della visibilità dei contenuti:

  • in certi casi tutto il contenuto pubblicato è visibile a chiunque, anche fuori dall’ambiente del social network (Twitter e Instagram, per chi tiene il proprio profilo “aperto”), o, al contrario, viene tenuto “privato”, e per vederlo occorre chiedere l’autorizzazione al diretto interessato (i profili Twitter e Instagram “lucchettati”);
  • in altri ambienti, ad esempio Facebook, Google+ o Flickr,  è possibile controllare in modo flessibile la visibilità dei contenuti, dall’estremo del “tutti possono leggere” alla restrizione progressiva per cerchie di amici (“amici e amici dei miei amici”, “solo i miei amici”, “solo una lista ristretta di amici”);
  • a seconda del servizio, i contenuti “pubblici” possono essere visibili anche fuori dal social network in cui sono stati creati (es. Twitter, Instagram, Flickr) o per vederli bisogna essere all’interno della piattaforma (es. Facebook).

Il caso Facebook

A prescindere dalla scelta di stare o non stare su Facebook, ci sono alcune cose che è utile comunque capire di quella che è indubbiamente la piattaforma più diffusa in tutte le fasce di età.

Facebook è essenzialmente una rete per chi si conosce già; le richieste di amicizia e le ricerche riguardano soprattutto amici e conoscenti, e la propensione a “parlare con sconosciuti” è direttamente proporzionale a quella che ciascuno manifesta nella vita offline.

Le relazioni su Facebook sono in gran parte di tipo simmetrico, e sono definite dal termine omnicomprensivo di “amicizia”; tutti sappiamo che esistono vari livelli di “amicizia”, tanto che lo stesso Facebook ci suggerisce di distinguere fra amici stretti e semplici conoscenti, inserendoli nelle apposite liste, in modo da poter modulare la visibilità di quel che pubblichiamo a seconda dei casi.

È possibile “tenere d’occhio” un’altra persona senza chiedere l’amicizia, iscrivendosi ai suoi post pubblici-

Ciascuno può definire in modo estremamente flessibile sia la visibilità “di default” dei propri post, sia chi può vedere uno specifico contenuto; è possibile modificare a posteriori la visibilità di un post oltre che, naturalmente, cancellarlo.

Su Facebook esistono tre tipi di soggetti: i profili personali, i gruppi, e le pagine.

Il profilo personale su Facebook

ProfiloFacebookAlessandra

Il profilo personale deve appartenere a una persona; ciascuno di noi può aprirne uno e uno solo, e il contratto che stipuliamo con Facebook accettando i suoi termini di servizio ci impegna, fra le altre cose, a usare nome, cognome e data di nascita reali, a non fingere di essere qualcun altro, a non cedere a nessuno la nostra password, a non entrare nel profilo Facebook di qualcun altro.

Che ci piaccia o no, queste sono le condizioni che accettiamo di rispettare nel momento in cui vogliamo usare la piattaforma; se non siamo d’accordo con una qualsiasi delle clausole, nessuno ci obbliga a usare Facebook, e se poi comunque lo usiamo senza rispettarle e il nostro profilo viene chiuso non abbiamo motivi di protestare, perché siamo nel torto.

Fra le condizioni di servizio per l’uso di Facebook c’è anche l’aver compiuto i 13 anni; personalmente io sono molto d’accordo su questa limitazione, e pare esserlo lo stesso Mark Zuckerberg, che ha ribadito la cosa in varie interviste. Autorizzare i bambini ad aprirsi un profilo Facebook mentendo sulla propria età significa esporli a contenuti pensati per persone più grandi di loro, e, più in generale, far passare il messaggio che il rispetto delle regole è derogabile.

Un’alternativa ragionevole per i preadolescenti può essere quella di navigare su Facebook insieme, usando il profilo di uno dei genitori, un po’ come facciamo quando li accompagniamo in luoghi nei quali, quando sarà il momento, potranno andare da soli.

In ogni caso, è importante sapere (e saper spiegare) come si fa ad impostare la visibilità “automatica” di quel che scriviamo su Facebook (in questo momento, nel menu che si apre in alto a destra sulla nostra pagina di profilo), e anche a cambiare la visibilità di un singolo post (agendo sul piccolo menu a tendina in alto).

VisibilitaPostFacebook
I gruppi

Su Facebook chiunque può creare o partecipare a un gruppo, che – esattamente come nella vita offline – è un insieme di persone che si riconoscono in qualcosa di comune. Quello della foto, ad esempio, è un gruppo dedicato alle mamme runner o aspiranti tali.

Runningformommies

Ogni gruppo ha uno o più amministratori, che possono decidere di ammettere o escludere i partecipanti, e agire come moderatori della discussione.

Possiamo avere gruppi:

  • segreti: solo i partecipanti sanno della loro esistenza, e si entra solo su invito; le conversazioni sono visibili solo all’interno del gruppo;
  • chiusi: è possibile vedere che il gruppo esiste, ma non leggere le conversazioni se non si è membri; si deve chiedere l’ammissione agli amministratori del gruppo;
  • aperti: chiunque può vedere il gruppo e decidere di farne parte, e le conversazioni sono visibili a chiunque dentro Facebook.

I gruppi sono un sistema piuttosto comodo per condividere discussioni, materiali, commenti, e vengono ormai usati anche in contesti di lavoro, che coinvolgono magari persone di aziende diverse.

Le pagine ufficiali

Gianni Morandi

Le pagine ufficiali sono la forma di presenza che Facebook offre ad aziende, brand, associazioni, artisti, politici. Se un’azienda apre un profilo personale con nome e cognome e ti chiede l’amicizia, sta abusando di uno spazio non suo, esattamente come il maleducato che parcheggia il suo SUV in mezzo alla pista ciclabile o davanti alla rampa per disabili.

La pagina è uno spazio pubblico, e i suoi contenuti sono visibili anche al di fuori di Facebook: tutto quello che scrivi nella bacheca di una pagina o nei commenti ai suoi post è come se lo dicessi ad alta voce in piazza, tienine conto.

Cosa vediamo su Facebook

Il modello di business di Facebook si basa sulla vendita di pubblicità.

Facebook ha a disposizione moltissime informazioni su di noi: non solo quelle che gli diamo direttamente (età, dove viviamo, chi sono i nostri amici) ma tutte quelle che gli derivano dall’analisi dei nostri comportamenti (le pagine a cui ci iscriviamo, i “mi piace” che mettiamo, i siti che linkiamo, le parole che usiamo nei nostri post e commenti).

Tutte queste informazioni, aggregate e analizzate, non vengono comunicate agli inserzionisti, ma usate come meccanismo di profilazione per offrire agli inserzionisti la possibilità di far vedere un annuncio a persone con certe caratteristiche: ad esempio, le donne dai 35 ai 55 anni che vivono nel Nord-Est e sono interessate allo yoga, o tutti gli abitanti di Catanzaro, o gli uomini dai 20 ai 35 anni il cui status sentimentale sia “fidanzato”.

Ciascuno di noi è collegato ad alcune centinaia di amici e iscritto ad alcune decine di pagine; se ogni nostro amico e ogni pagina a cui siamo iscritti pubblicasse un post al giorno (media realistica fra chi non scrive mai niente e chi sta tutto il giorno a postare dallo smartphone), avremmo ogni giorno diverse centinaia di post da leggere; chiaramente questo è impossibile, per mere ragioni di tempo, così Facebook sceglie di mostrarci quelli che – secondo le sue valutazioni – sono gli aggiornamenti potenzialmente più interessanti per noi.

La scelta viene fatta da un algoritmo che tiene in considerazione tre fattori:

  • l’affinità che mostriamo di avere per le singole fonti di informazione: se commento sempre i post di un mio amico, o metto sempre “mi piace” sui post di Gianni Morandi, Facebook tenderà a farmi vedere quasi tutti i post di quel mio amico o di Morandi;
  • l’interesse oggettivo che mostrano di suscitare i singoli post: se un mio amico, verso cui non mostro normalmente tanto interesse, pubblica un post che suscita un gran numero di commenti e condivisioni, Facebook interpreta questo dato come un oggettivo segnale di rilevanza di quel contenuto, e quindi tende a mostrarmelo supponendo che possa interessare anche me;
  • la freschezza dei contenuti, e il fatto che continuino, anche a distanza di tempo, a generare conversazioni.

Di conseguenza, ciascuno di noi vede un Facebook diverso, e può comunque nascondere contenuti che non ritiene interessanti o piacevoli. Come dice Giovanni Boccia Artieri, se la tua bacheca è piena di gattini (o di scemenze), la colpa è tua.

Caratteristiche degli spazi pubblici online

Se è vero che le conversazioni che facciamo online non sono diverse da quelle offline per temi e interlocutori, è tuttavia vero che gli spazi di conversazione online presentano delle caratteristiche inedite rispetto alle chiacchiere davanti alla macchina del caffè:

  • permanenza: scriviamo adesso, e ciò che scriviamo potrà essere letto e commentato anche da qualcuno che in questo momento non è online; questo rende possibili conversazioni asincrone, dilatando la dimensione del tempo in modo nuovo:
  • visibilità: ciò che scriviamo resta scritto, cancellare qualcosa da Internet è pressoché impossibile anche se siamo stati noi a scriverlo, e la dimensione della nostra audience potenziale si allarga a dismisura;
  • diffondibilità: come dice Luigina Foggetti, “everything is forwardable”, ed è estremamente veloce, facile ed economico riprodurre, inoltrare, fare uno screenshot di una conversazione, far girare una notizia; di questo sembrano non rendersi conto moltissimi adulti, figuriamoci gli adolescenti, se non nel momento in cui si trovano coinvolti in scherzi, ritorsioni, o veri e propri ricatti;
  • ricercabilità: non solo disseminiamo la rete di tracce, ma queste sono ritrovabili e riconducibili a noi grazie a strumenti di ricerca potenti, raffinati e pressoché gratuiti.

Tutto questo ci deve far riflettere su quanto la percezione che gli altri hanno di noi si forma a partire da ciò che decidiamo, più o meno consapevolmente, di far conoscere, e su come la nostra stessa identità viene modellata sia dall’opinione che gli altri hanno di noi, sia da come noi stessi raccontiamo, agli altri e a noi stessi, la nostra storia.

Sul rapporto fra identità e autorappresentazione, cito il sociologo canadese Erving Goffman:

“Noi siamo sempre sulla scena, anche quando pensiamo di essere assolutamente spontanei e sinceri nelle nostre reazioni davanti agli altri.”

Il fatto è che su Internet diventa impossibile negare l’evidenza, perché tutti ci rendiamo conto di come ciascuno tende naturalmente a raccontare le cose che lo mettono in buona luce, e passare sotto silenzio le proprie manchevolezze – o reinterpretarle in modo da raccogliere solidarietà o giustificazioni. È il #Luminol che ci mostra, a noi stessi e agli altri, in tutta la nostra umanità, anche quando adottiamo il gergo aziendale e parliamo di personal branding.

Buonsenso spicciolo per la vita connessa

Non è obbligatorio appassionarsi a qualunque nuova tecnologia arrivi sulla scena, ma conoscere e praticare alcune buone norme di comportamento è utile, sia per agire in prima persona, sia nel rapporto coi nostri figli.

Il buon esempio conta più delle prediche (è una gara facile, perché le prediche non servono a niente)

Adulti e genitori che vogliono avere figli educati, sensibili e prudenti devono innanzitutto guardarsi allo specchio e diventare persone che:

  • discutono civilmente (no urla, no insulti, no abuso di maiuscole e di punti esclamativi);
  • contano fino a 10 prima di far girare una notizia o un link;
  • si mettono nei panni degli altri evitando di sparare giudizi superficiali;
  • non passano il tempo a invitare tutti i propri 300 amici a giocare a CandyCrush;
  • sono presentabili, ad esempio evitano di usare come foto profilo a 55 anni quella che li ritrae a torso nudo in costume da Tarzan, e quando guardi la loro bacheca Facebook non ti senti in imbarazzo.

Non che sia facile, s’intende; ma forse proprio capire quanto è difficile ci aiuterà a contestualizzare certe “sparate” dei ragazzi, e a ricordare che anche noi, alla loro età, eravamo “stupidi davvero”.

Due parole sulla sicurezza

Sì, il mondo è pieno di pericoli, e la vita online non fa eccezioni, quindi:

  • iniziamo dalle basi, cioè dalla gestione sana e prudente delle password;
  • dotiamoci di un buon antivirus e teniamolo aggiornato;
  • non usiamo software piratato: molto meglio installare in modo legale OpenOffice o LibreOffice che farsi passare dal cugino la copia tarocca di Word;
  • prima di cliccare su un link che promette ricchi premi e cotillon, applichiamo una dose massiccia di diffidenza e senso critico;
  • chiediamoci, prima di pubblicare qualcosa, chi lo potrà vedere (e cancelliamo o modifichiamo qualcosa di già pubblicato, se necessario);
  • facciamo attenzione a non divulgare online dati importanti o sensibili, come fanno gli ingenui collezionati da @needadebitcard.

cartadicreditonuova

Le foto online, nostre e degli altri

Gran parte delle tracce che lasciamo di noi è costituita da foto, e, se quel che scriviamo non sempre viene letto fino in fondo, le immagini comunicano in modo diretto e velocissimo. Quindi:

  • facciamo attenzione alle foto che ci ritraggono; se qualcuno ha pubblicato una nostra foto in cui non ci piacciamo, c’è sempre la possibilità di chiedergli di cancellarla (o di non taggarci);
  • usiamo la stessa attenzione verso gli altri, e cerchiamo di pubblicare foto di cui non si debbano vergognare;
  • le foto dei bambini sono un tema molto discusso: c’è chi oscura accuratamente ogni immagine della prole, fino alla maggiore età, e chi invece pubblica senza problemi le foto dei figli, magari fin troppe; in quest’ultimo caso, non dare mai per scontato che gli altri la pensino come noi, quindi evitare di pubblicare foto dei figli degli altri (a meno che non si abbia il consenso esplicito dei genitori); nel primo caso, invece, suggerisco un piccolo esercizio di tolleranza verso le scelte altrui.

Kit di sopravvivenza nella contemporaneità

Se, come abbiamo visto, tutto sta cambiando a una velocità sempre più vertiginosa, la specie Homo sapiens si trova alle prese con un cambiamento radicale dei criteri di selezione che hanno governato fin qui la sua evoluzione.

Per la quasi totalità della nostra storia evolutiva, vissuta in piccole tribù nella condizione di cacciatori-raccoglitori, la diffidenza verso il nuovo è stata una caratteristica estremamente vantaggiosa: avere un picco di adrenalina ogni volta che ci si imbatte in qualcosa di diverso dal solito, ed essere pronti a scappare o combattere, funziona molto bene in una condizione in cui la novità può essere un nemico, un predatore o una preda.

Ma quasi nessuna caratteristica è, di per sé, vantaggiosa o svantaggiosa in assoluto: lo diventa solo in rapporto all’ambiente circostante. La paura per la novità che ha consentito la sopravvivenza dei nostri antenati rappresenta oggi uno svantaggio competitivo, e sono favoriti quelli che non hanno paura di cambiare, cioè gli stessi che diecimila anni fa tendevano a morire prima degli altri lasciando in proporzione meno discendenti.

Per vivere e prosperare in mezzo a un mondo che cambia sempre più velocemente, abbiamo bisogno di un bagaglio di atteggiamenti mentali molto diverso che in passato:

  • imparare a imparare: le informazioni si aggiornano continuamente, perciò servono solide competenze di base, che sono leggere (l’analfabetismo funzionale è molto più deleterio di quello digitale), scrivere (sapersi esprimere in modo chiaro, saper raccontare, usare la sintesi), far di conto (valutare i pro e i contro, capire cos’è sostenibile e cosa no, chiedersi chi è che paga quel che ci sembra gratis);
  • filtrare e interpretare: siamo immersi in un flusso di informazioni sempre più inarrestabile, ed è fondamentale non farci travolgere, imparando a dosare (non possiamo leggere tutto), analizzare criticamente (fact-checking, senso critico, analisi delle fonti), mantenere la concentrazione (le notifiche sono il male);
  • accettare di compiere errori: “life is a beta” (Jeff Jarvis), sbagliare è inevitabile in una situazione in cui navighiamo a vista nel futuro; l’importante è imparare velocemente dai propri errori, e ammettere la possibilità che ci sia spesso più di un solo “modo giusto” per fare qualcosa.

“Che tu possa vivere in tempi interessanti!”

Pare che per i cinesi questa sia una maledizione, ma io la considero una grande fortuna: forse nei miei geni c’è un po’ di quella sventatezza che fino al Neolitico mi avrebbe fatta morire prestissimo (in ogni caso nel Neolitico sarei già morta comunque, alla mia età).

Ma, qualunque sia la nostra propensione di base al cambiamento, essere genitori significa anche veder cambiare molto velocemente le cose, imparare a imparare ogni giorno, leggere e filtrare i segnali che ci mandano i nostri figli, e accettare di compiere tantissimi errori.

Essere genitori da oggi vuol dire anche vedere i nostri figli vivere la propria vita sociale, definire la propria identità e cercare guide e informazioni online; non c’è ritorno, e probabilmente fra dieci anni parleremo di cose che oggi nemmeno ci immaginiamo.

Nessuno ci ha promesso che fosse facile, ma è senza dubbio molto, molto interessante.

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3 commenti a “Internet per genitori (2a parte)”

  1. Daniela Stradaioli ha detto:
    20/03/2015 alle 12:22

    Le necessità sono molte e le informazioni necessarie sono difficili da trovare…come sempre per tutto…Spero ne valga la pena

  2. Pingback: ‘O web | Saltellando con le mutande in testa
  3. Vania ha detto:
    06/07/2015 alle 14:17

    Complimenti per tutto: mi piace lo stile e come porti avanti il lavoro.
    Detto ciò mi permetto di scrivere su questo argomento perché come pedagogista e appassionata di web e tecnologie da tempo medito un lavoro integrato: qualcuno che parli di web e qualcuno come me che parli di relazione e comunicazione come pilastri della famiglia e delle agenzie educative.

    Chissà che un domani non ci riesca!!

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ALESSANDRA FARABEGOLI
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