(Questa è la seconda e ultima parte di una riflessione sull’uso consapevole della rete tenuta insieme a un gruppo di genitori; qui trovi la prima puntata)
Una volta compreso che è il caso di preoccuparci dei luoghi che frequentano i nostri figli, anche online, iniziamo a costruirci una mappa dei territori più frequentati.
Il termine social network è un equivoco: Facebook, Twitter, Google+, LinkedIn, dovrebbero essere più correttamente chiamati “servizi online per il social networking”, perché i social network propriamente detti non sono altro che “reti sociali”, una caratteristica delle relazioni fra individui che accompagna l’umanità da milioni di anni.
Ciascuno di noi, da ben prima che arrivasse Internet, fa parte di una quantità di reti: familiari, scolastiche, associative, lavorative. Ognuna di queste reti ha un proprio “oggetto sociale”, segni di (auto)riconoscimento, regole implicite ed esplicite che definiscono le relazioni fra chi ne fa parte; quel che è successo negli ultimi 15 anni è che ci siamo trovati in mano strumenti che ci permettono di:
L’uso dei cosiddetti social network è ormai generalizzato; in Italia ci sono 25 milioni di persone che usano Facebook (i profili aperti sono 28 milioni, 25 milioni sono quelli che nell’ultimo mese hanno effettivamente usato Facebook almeno una volta), oltre 9 milioni su Twitter, oltre 5 su LinkedIn (dati aggiornati sull’Osservatorio Social Media di Vincenzo Cosenza). E Badoo, uno dei social network fatti per cuccare, mi dice che se voglio fare amicizia con ragazzi o ragazze italiani dai 18 agli 80 anni ne trovo più di 10 milioni – il 70% sono maschi e il 30% femmine, come mai il dato non mi stupisce?
Ciascuno dei servizi online che ho citato, e tutti gli altri social network, è contraddistinto da una serie di caratteristiche e regole, che possiamo leggere e analizzare.
Che tipo di rete “serve”:
Motivazioni prevalenti che spingono a collegarsi ad altre persone:
Struttura delle relazioni fra i membri della rete:
Contenuti che si possono pubblicare:
Interazioni possibili con i contenuti pubblicati e con gli altri membri della rete:
Regolazione della visibilità dei contenuti:
A prescindere dalla scelta di stare o non stare su Facebook, ci sono alcune cose che è utile comunque capire di quella che è indubbiamente la piattaforma più diffusa in tutte le fasce di età.
Facebook è essenzialmente una rete per chi si conosce già; le richieste di amicizia e le ricerche riguardano soprattutto amici e conoscenti, e la propensione a “parlare con sconosciuti” è direttamente proporzionale a quella che ciascuno manifesta nella vita offline.
Le relazioni su Facebook sono in gran parte di tipo simmetrico, e sono definite dal termine omnicomprensivo di “amicizia”; tutti sappiamo che esistono vari livelli di “amicizia”, tanto che lo stesso Facebook ci suggerisce di distinguere fra amici stretti e semplici conoscenti, inserendoli nelle apposite liste, in modo da poter modulare la visibilità di quel che pubblichiamo a seconda dei casi.
È possibile “tenere d’occhio” un’altra persona senza chiedere l’amicizia, iscrivendosi ai suoi post pubblici-
Ciascuno può definire in modo estremamente flessibile sia la visibilità “di default” dei propri post, sia chi può vedere uno specifico contenuto; è possibile modificare a posteriori la visibilità di un post oltre che, naturalmente, cancellarlo.
Su Facebook esistono tre tipi di soggetti: i profili personali, i gruppi, e le pagine.
Il profilo personale deve appartenere a una persona; ciascuno di noi può aprirne uno e uno solo, e il contratto che stipuliamo con Facebook accettando i suoi termini di servizio ci impegna, fra le altre cose, a usare nome, cognome e data di nascita reali, a non fingere di essere qualcun altro, a non cedere a nessuno la nostra password, a non entrare nel profilo Facebook di qualcun altro.
Che ci piaccia o no, queste sono le condizioni che accettiamo di rispettare nel momento in cui vogliamo usare la piattaforma; se non siamo d’accordo con una qualsiasi delle clausole, nessuno ci obbliga a usare Facebook, e se poi comunque lo usiamo senza rispettarle e il nostro profilo viene chiuso non abbiamo motivi di protestare, perché siamo nel torto.
Fra le condizioni di servizio per l’uso di Facebook c’è anche l’aver compiuto i 13 anni; personalmente io sono molto d’accordo su questa limitazione, e pare esserlo lo stesso Mark Zuckerberg, che ha ribadito la cosa in varie interviste. Autorizzare i bambini ad aprirsi un profilo Facebook mentendo sulla propria età significa esporli a contenuti pensati per persone più grandi di loro, e, più in generale, far passare il messaggio che il rispetto delle regole è derogabile.
Un’alternativa ragionevole per i preadolescenti può essere quella di navigare su Facebook insieme, usando il profilo di uno dei genitori, un po’ come facciamo quando li accompagniamo in luoghi nei quali, quando sarà il momento, potranno andare da soli.
In ogni caso, è importante sapere (e saper spiegare) come si fa ad impostare la visibilità “automatica” di quel che scriviamo su Facebook (in questo momento, nel menu che si apre in alto a destra sulla nostra pagina di profilo), e anche a cambiare la visibilità di un singolo post (agendo sul piccolo menu a tendina in alto).
Su Facebook chiunque può creare o partecipare a un gruppo, che – esattamente come nella vita offline – è un insieme di persone che si riconoscono in qualcosa di comune. Quello della foto, ad esempio, è un gruppo dedicato alle mamme runner o aspiranti tali.
Ogni gruppo ha uno o più amministratori, che possono decidere di ammettere o escludere i partecipanti, e agire come moderatori della discussione.
Possiamo avere gruppi:
I gruppi sono un sistema piuttosto comodo per condividere discussioni, materiali, commenti, e vengono ormai usati anche in contesti di lavoro, che coinvolgono magari persone di aziende diverse.
Le pagine ufficiali sono la forma di presenza che Facebook offre ad aziende, brand, associazioni, artisti, politici. Se un’azienda apre un profilo personale con nome e cognome e ti chiede l’amicizia, sta abusando di uno spazio non suo, esattamente come il maleducato che parcheggia il suo SUV in mezzo alla pista ciclabile o davanti alla rampa per disabili.
La pagina è uno spazio pubblico, e i suoi contenuti sono visibili anche al di fuori di Facebook: tutto quello che scrivi nella bacheca di una pagina o nei commenti ai suoi post è come se lo dicessi ad alta voce in piazza, tienine conto.
Il modello di business di Facebook si basa sulla vendita di pubblicità.
Facebook ha a disposizione moltissime informazioni su di noi: non solo quelle che gli diamo direttamente (età, dove viviamo, chi sono i nostri amici) ma tutte quelle che gli derivano dall’analisi dei nostri comportamenti (le pagine a cui ci iscriviamo, i “mi piace” che mettiamo, i siti che linkiamo, le parole che usiamo nei nostri post e commenti).
Tutte queste informazioni, aggregate e analizzate, non vengono comunicate agli inserzionisti, ma usate come meccanismo di profilazione per offrire agli inserzionisti la possibilità di far vedere un annuncio a persone con certe caratteristiche: ad esempio, le donne dai 35 ai 55 anni che vivono nel Nord-Est e sono interessate allo yoga, o tutti gli abitanti di Catanzaro, o gli uomini dai 20 ai 35 anni il cui status sentimentale sia “fidanzato”.
Ciascuno di noi è collegato ad alcune centinaia di amici e iscritto ad alcune decine di pagine; se ogni nostro amico e ogni pagina a cui siamo iscritti pubblicasse un post al giorno (media realistica fra chi non scrive mai niente e chi sta tutto il giorno a postare dallo smartphone), avremmo ogni giorno diverse centinaia di post da leggere; chiaramente questo è impossibile, per mere ragioni di tempo, così Facebook sceglie di mostrarci quelli che – secondo le sue valutazioni – sono gli aggiornamenti potenzialmente più interessanti per noi.
La scelta viene fatta da un algoritmo che tiene in considerazione tre fattori:
Di conseguenza, ciascuno di noi vede un Facebook diverso, e può comunque nascondere contenuti che non ritiene interessanti o piacevoli. Come dice Giovanni Boccia Artieri, se la tua bacheca è piena di gattini (o di scemenze), la colpa è tua.
Se è vero che le conversazioni che facciamo online non sono diverse da quelle offline per temi e interlocutori, è tuttavia vero che gli spazi di conversazione online presentano delle caratteristiche inedite rispetto alle chiacchiere davanti alla macchina del caffè:
Tutto questo ci deve far riflettere su quanto la percezione che gli altri hanno di noi si forma a partire da ciò che decidiamo, più o meno consapevolmente, di far conoscere, e su come la nostra stessa identità viene modellata sia dall’opinione che gli altri hanno di noi, sia da come noi stessi raccontiamo, agli altri e a noi stessi, la nostra storia.
Sul rapporto fra identità e autorappresentazione, cito il sociologo canadese Erving Goffman:
“Noi siamo sempre sulla scena, anche quando pensiamo di essere assolutamente spontanei e sinceri nelle nostre reazioni davanti agli altri.”
Il fatto è che su Internet diventa impossibile negare l’evidenza, perché tutti ci rendiamo conto di come ciascuno tende naturalmente a raccontare le cose che lo mettono in buona luce, e passare sotto silenzio le proprie manchevolezze – o reinterpretarle in modo da raccogliere solidarietà o giustificazioni. È il #Luminol che ci mostra, a noi stessi e agli altri, in tutta la nostra umanità, anche quando adottiamo il gergo aziendale e parliamo di personal branding.
Non è obbligatorio appassionarsi a qualunque nuova tecnologia arrivi sulla scena, ma conoscere e praticare alcune buone norme di comportamento è utile, sia per agire in prima persona, sia nel rapporto coi nostri figli.
Adulti e genitori che vogliono avere figli educati, sensibili e prudenti devono innanzitutto guardarsi allo specchio e diventare persone che:
Non che sia facile, s’intende; ma forse proprio capire quanto è difficile ci aiuterà a contestualizzare certe “sparate” dei ragazzi, e a ricordare che anche noi, alla loro età, eravamo “stupidi davvero”.
Sì, il mondo è pieno di pericoli, e la vita online non fa eccezioni, quindi:
Gran parte delle tracce che lasciamo di noi è costituita da foto, e, se quel che scriviamo non sempre viene letto fino in fondo, le immagini comunicano in modo diretto e velocissimo. Quindi:
Se, come abbiamo visto, tutto sta cambiando a una velocità sempre più vertiginosa, la specie Homo sapiens si trova alle prese con un cambiamento radicale dei criteri di selezione che hanno governato fin qui la sua evoluzione.
Per la quasi totalità della nostra storia evolutiva, vissuta in piccole tribù nella condizione di cacciatori-raccoglitori, la diffidenza verso il nuovo è stata una caratteristica estremamente vantaggiosa: avere un picco di adrenalina ogni volta che ci si imbatte in qualcosa di diverso dal solito, ed essere pronti a scappare o combattere, funziona molto bene in una condizione in cui la novità può essere un nemico, un predatore o una preda.
Ma quasi nessuna caratteristica è, di per sé, vantaggiosa o svantaggiosa in assoluto: lo diventa solo in rapporto all’ambiente circostante. La paura per la novità che ha consentito la sopravvivenza dei nostri antenati rappresenta oggi uno svantaggio competitivo, e sono favoriti quelli che non hanno paura di cambiare, cioè gli stessi che diecimila anni fa tendevano a morire prima degli altri lasciando in proporzione meno discendenti.
Per vivere e prosperare in mezzo a un mondo che cambia sempre più velocemente, abbiamo bisogno di un bagaglio di atteggiamenti mentali molto diverso che in passato:
Pare che per i cinesi questa sia una maledizione, ma io la considero una grande fortuna: forse nei miei geni c’è un po’ di quella sventatezza che fino al Neolitico mi avrebbe fatta morire prestissimo (in ogni caso nel Neolitico sarei già morta comunque, alla mia età).
Ma, qualunque sia la nostra propensione di base al cambiamento, essere genitori significa anche veder cambiare molto velocemente le cose, imparare a imparare ogni giorno, leggere e filtrare i segnali che ci mandano i nostri figli, e accettare di compiere tantissimi errori.
Essere genitori da oggi vuol dire anche vedere i nostri figli vivere la propria vita sociale, definire la propria identità e cercare guide e informazioni online; non c’è ritorno, e probabilmente fra dieci anni parleremo di cose che oggi nemmeno ci immaginiamo.
Nessuno ci ha promesso che fosse facile, ma è senza dubbio molto, molto interessante.
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Le necessità sono molte e le informazioni necessarie sono difficili da trovare…come sempre per tutto…Spero ne valga la pena
Complimenti per tutto: mi piace lo stile e come porti avanti il lavoro.
Detto ciò mi permetto di scrivere su questo argomento perché come pedagogista e appassionata di web e tecnologie da tempo medito un lavoro integrato: qualcuno che parli di web e qualcuno come me che parli di relazione e comunicazione come pilastri della famiglia e delle agenzie educative.
Chissà che un domani non ci riesca!!